La comunicazione social è al centro di molti dibattiti, alcuni dei quali legittimi e utili, altri pretestuosi.

In momenti di emergenza, si sa, possono venirsi a creare situazioni di tale caos da pregiudicare la qualità del lavoro, delle performance, della vita a vari livelli.

La comunicazione nei periodi di crisi

Viviamo ormai fasi continue di allarme, che sono probabilmente destinate a caratterizzare la nostra epoca. Pertanto, è difficile pensare di attendere quando le acque si saranno calmate per poter fare considerazioni più lucide.

Siamo tenuti, obbligati a comportarci correttamente, a prendere decisioni avvedute anche se intorno a noi il mondo sta cambiando alla velocità della luce. Se l’ordine delle cose non è più lo stesso e le novità sul piatto non sono certo invitanti.

Questo lo dobbiamo alla società, che risulta però sempre essere un ente astratto, così vicino a tutti noi e così (allo stesso tempo) lontano. Ma lo dobbiamo soprattutto a qualcosa di più vicino, sul quale abbiamo un controllo maggiore: noi stessi.

Molti errori non possiamo più permetterceli. Dico questo sapendo che la maggior parte di noi certi sbagli, più o meno consapevoli, non li commetteva neppure prima. Ma ora le condizioni sono di urgenza.

La comunicazione social e la disinformazione

Detto questo, vorrei esprimere un pensiero su un argomento su cui si dibatte periodicamente, spesso non seguendo percorsi logici. Mi riferisco alla comunicazione social come veicolo di disinformazione.

Nei mesi scorsi ho collaborato alla realizzazione di un corso di formazione destinato ai medici sulle Fake News. Il problema è serio e i segnali di allarme sono noti a tutti.

Il pericolo è essenzialmente legato a due aspetti.

Il primo è la struttura del pensiero umano, inevitabilmente soggetto a distorsioni che predispongono al pregiudizio.

Il secondo è insito nella logica stessa con cui funzionano i social media, che premiano l’interazione e i contenuti che promettono di raggiungerla. I social media non sono pensati per ragionare sulla qualità, ma sui numeri, sulle adesioni di massa. Non che non sia possibile trovarvi post realizzati con standard elevati, semplicemente non sono stati progettati per questo.

I rischi della nostra epoca

Al di là di ogni complottismo, che non ci appartiene, sappiamo che esiste una potente rete internazionale che ha molto interesse a diffondere disinformazione e misinformazione.

Questi intenti sono sempre esistiti: il controllo dell’informazione non è una questione peculiare del nostro tempo.

Naturalmente, internet fornisce strumenti di azione ben più potenti rispetto a quelli disponibili in passato.

E, in questo contesto, gli errori possono avere conseguenze molto più gravi.

La qualità della comunicazione social dipende da noi

Per questo vorrei riflettere su un punto, che trovo importante anche ai fini di dare un senso concreto, pratico alla comunicazione di segnali di pericolo.

I social media sono fatti (anche) da persone come noi: da professionisti, studenti, cittadini che vogliono informare e informarsi correttamente. I social media siamo noi.

Ben sapendo che nei momenti di confusione (pandemie, guerre…) il rischio disinformazione va alle stelle, non siamo impotenti di fronte a tutto ciò.

Possiamo intervenire e cambiare le cose, per quanto è nelle nostre possibilità.

Se tutti ci impegniamo a pubblicare e leggere solo notizie verificate, contribuiamo effettivamente, con i fatti, a rendere Twitter, LinkedIn, Instagram & co un posto migliore.

I social non sono, come vorrebbe il pregiudizio, il regno delle fake news: sono il risultato dei nostri comportamenti.