Le pressioni che gravano sui medici determinano l’insorgenza del burnout, l’esaurimento psicofisico dalle conseguenze devastanti.

Le professioni sanitarie stanno attraversando un periodo di crisi generale, che va di pari passo con la crisi della politica e di altri grandi pilastri della società contemporanea quali l’economia. In particolare la figura del medico ospedaliero è al centro di una fase negativa, che sta trovando la sua espressione più drammatica negli Stati Uniti, dove tutto è amplificato e qualche volta anticipatorio rispetto al mondo europeo.

La depressione ed altre forme di nevrosi da stress, legate alla professione, si sono diffuse negli ultimi anni, raggiungendo livelli di allarme. Uno studio della Mayo Clinic condotto fra il 2011 ed il 2014 testimonia come la percentuale di medici in situazione di esaurimento psicofisico sia passata in questi anni dal 45 al 54% ed il numero dei suicidi sia in costante aumento. Una sorta di epidemia silenziosa che sta erodendo il sistema sanitario americano, ancor più della paventata abolizione dell’Obamacare e degli altri cambiamenti imminenti minacciati/promessi dalla nuova amministrazione.

E’ vero che lo stress è una caratteristica comune a praticamente tutte le professioni, almeno per come le viviamo oggi. Conosciamo tutti l’importanza del corretto equilibrio fra dimensione professionale e privata. Tuttavia, nel caso dei medici, il caso diventa particolare, anche per le pesanti ripercussioni che il loro burnout potrebbe avere sulla società. La compensazione dello stress nelle ore di pausa fra un turno e l’altro è determinante nel prevenire le forme peggiori di nevrosi da stress. E proprio quando questa attitudine, questo fondamentale meccanismo di difesa viene a mancare, il professionista perde la propria capacità di ritrovare l’equilibrio. Allora la stanchezza prende il sopravvento e dà inizio ad una catena di eventi che conduce al debito di energie, anche mentali, ed alla perdita di lucidità.

Le cause dell’esaurimento psicofisico dei medici. Siamo portati a pensare che il lavoro del medico in stretto contatto con i pazienti. Tuttavia il suo compito non si esaurisce in questo, che pure potrebbe essere considerato sufficientemente impegnativo. Anzi, per dirla tutta, l’aspetto strettamente clinico del medico è poca cosa, in termini di tempo ed energie investite rispetto alle risorse destinate alla compilazione della documentazione relativa ai pazienti. Si stima che un medico trascorra fino a 5 ore al PC per ogni ora dedicata alle attività cliniche. Vi rimando a questo articolo della Reuters per approfondimenti che vi faranno riflettere. Chiedereste ad un talentuoso chirurgo di investire una quota significativa del suo tempo davanti allo schermo di un computer? O preferireste garantire la sua totale disponibilità ai pazienti, più titolati a beneficiarne?

Inoltre ai medici vengono sempre più richieste leadership skills che poco hanno a che vedere con il ruolo strettamente clinico. Spesso i medici sono messi in condizione di operare scelte svilenti fra possibilità di carriera e soddisfazione dei pazienti. Avvertono la necessità di dedicare più tempo al colloquio con i pazienti, ma si sentono oppressi dalla logica aziendale dell’ospedale, che privilegia criteri di efficienza.

E la politica non sempre agisce nella direzione di agevolare il loro lavoro. I tagli trasversali che si sono resi necessari per fare fronte alla situazione di crisi creano le condizioni perché le rivendicazioni dei pazienti si ripercuotano in maniera dirompente nella delicata relazione con il proprio medico. Accrescendone la frustrazione, proprio per il senso di impotenza.

Vogliamo poi parlare dello stress di avere responsabilità dirette sulla vita dei pazienti? Coinvolgimenti sia civili che penali. Le denunce sono sempre in agguato e le assicurazioni per i medici conseguentemente sempre più onerose. Le denunce sono diventate quasi uno strumento di protesta popolare, che però spesso colpisce l’anello sbagliato della catena. Si colpisce il medico per lamentarsi del cattivo funzionamento della Sanità, nel suo complesso. Perché, esasperati dai tempi di attesa, si cerca un colpevole a tutti i costi e ci si attacca al cavillo per poterlo incastrare.

Come si manifesta il burnoutDi fronte alla pressione quotidiana esercitata da tutti questi fattori, dai turni spesso massacranti, dall’insoddisfazione derivante da ambizioni di carriera frustrate, ecco sopraggiungere i primi segni dell’esaurimento fisico ed emotivo. Professionisti completamente depletati di ogni energia che non riescono a ricaricarsi nemmeno nelle ore di pausa fra un turno ed il successivo.

Accade così che germoglino sentimenti di risentimento nei confronti dei pazienti, dai quali ci si sente soverchiati e sfruttati. In America si usa l’espressione It’s a battle out there, and it’s not a fair fight per definire quella che si è ormai trasformata, nella mente offuscata del medico, in una guerra.

E’ chiaro che queste convinzioni sono inconsce, lavorano subdolamente sotto coscienza, forti della debolezza psicologica cui è soggetto il professionista.

Il passo successivo è la tendenza ad interpretare il proprio lavoro come privo di valore e svuotato di ogni significato. Attitudine oggettivamente sfasata dalla realtà di una figura professionale dal ruolo personale e sociale incredibilmente importante.

Quali sono le conseguenze? Oltre alle conseguenze sul piano della salute fisica e psichica dei medici, esistono delle ripercussioni dalla dimensione più collettiva. Il medico è il professionista più vicino al paziente, alle sue preoccupazioni. E’ colui che lo può aiutare nella maniera più diretta: penalizzare la relazione fra medico e paziente genera pesanti implicazioni sociali.

La riduzione della qualità della prestazione professionale è la conseguenza più immediatamente immaginabile.

Ma ne esistono altre, non meno pericolose. Come la medicina difensiva, ossia la pratica attraverso la quale il medico difende se stesso contro eventuali azioni di responsabilità legali che conseguono alle cure mediche prestate. Sostanzialmente, il professionista agisce non tanto in base a criteri scientifici, quanto nell’ottica di proteggersi da eventuali denunce. Questo, oltre a provocare sprechi ed inefficienze, non tutela il paziente.

Come si può intervenire per prevenire il burnout? Alla luce delle ragioni per cui si manifesta, le soluzioni sono molteplici. Implementare una digitalizzazione efficace sul territorio in maniera da velocizzare le pratiche non strettamente cliniche. A questo scopo, anche la semplificazione procedurale, di per sé, gioverebbe. In secondo luogo, affiancare alla formazione accademica strettamente disciplinare un training emotivo che irrobustisca il medico dal punto di vista della resilienza, che lo prepari nella gestione dello stress. Il contenimento degli sprechi e delle inefficienze in ambito sanitario agirebbe senza dubbio indirettamente ma positivamente sulla salute psicofisica dei dottori, migliorando, in generale, la situazione della Sanità e riducendo la possibilità di tagli indiscriminati.

Ma, prima ancora di ogni altro intervento, dobbiamo lavorare nella direzione della costruzione di un sistema che premi le competenze strettamente cliniche, il talento nella professione, la capacità di entrare in relazione con i pazienti. Facciamo svolgere ai medici la professione per la quale hanno studiato tanto a lungo garantendo contestualmente ai malati la disponibilità di professionisti qualificati e soddisfatti del proprio ruolo.