L’autotrapianto di cellule staminali può fermare la progressione della sclerosi multipla o addirittura migliorare il quadro clinico.

La sclerosi multipla è una malattia neurologica che colpisce la guaina di rivestimento dei nervi e porta progressivamente alla disabilità (a questo link potete leggere maggiori informazioni).

Da anni si discute della validità della terapia cellulare (cellule staminali) nel suo trattamento. Finora, tuttavia, gli studi effettuati hanno riguardato un numero poco significativo di pazienti (perché limitato), seguiti per un periodo di tempo insufficiente, che, pertanto, evidenziava solo benefici a breve termine (dell’ordine dei 2-4 anni) e selezionati con criteri non ottimali.

Qualche giorno fa Jama Neurology ha pubblicato i risultati della ricerca svolta in partnership dall’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze e dall’Imperial College di Londra. Lo studio ha avuto come protagonisti Riccardo Saccardi (del Careggi), che coordinato dal punto di vista trapiantologico, Luca Massacesi (anch’egli dell’ospedale fiorentino) sul versante neurologico e Paolo Muraro (dell’Imperial College), neurologo.

I ricercatori hanno sperimentato l’autotrapianto di cellule staminali emopoietiche (quelle che si differenziano dando origine alle cellule del sangue, globuli rossi, bianchi e piastrine) su 281 pazienti, seguiti per una media di 7 anni dopo il trapianto.

Questo nuovo approccio ha permesso quindi di:

  • osservare gli effetti nel lungo periodo della terapia (almeno 5 anni)
  • selezionare pazienti secondo criteri più efficaci: giovane età, forma remittente-recidivante, aggressiva e resistente alle terapie farmacologiche, minore numero di trattamenti immunosoppressori ricevuti prima del trapianto, livello di disabilità lieve o moderato
  • selezionare un più ampio numero di pazienti.

L’autotrapianto di cellule staminali del sangue è usato da anni per il trattamento di alcuni tumori del sangue. Nella sclerosi multipla il sistema immunitario “impazzito” attacca proteine appartenenti al corpo stesso, scambiandole per “nemici”. Per bloccarla, quindi, occorre ripristinare la capacità di giudizio del nostro apparato di difesa. Al paziente vengono prelevate delle cellule staminali emopoietiche e successivamente viene sottoposto ad una chemioterapia ad alte dosi, che distrugge il suo sistema immunitario difettoso. Poi le cellule staminali gli vengono reinfuse in vena. A questo punto il sistema immunitario si rigenera sano.

Questa metodica può fermare la progressione della malattia in molti casi, in un numero minore può addirittura migliorare il quadro clinico. Detto così sembra semplice ed innocuo. Ma si tratta di una terapia aggressiva, che impegna il corpo in una dura battaglia. Battaglia che 8 pazienti, nei primi 100 giorni dal trapianto, non hanno superato. I ricercatori spiegano che il rischio di esito fatale scende se si trapiantano pazienti nella fase iniziale della malattia, perché la capacità di selezionare i pazienti e le tecniche di trapianto sono nel frattempo migliorate.

Un notevole passo avanti, verso una terapia definitiva.