Dopo le brucianti delusioni del passato, è comprensibile la relativa freddezza con cui è stata accolta la notizia della pubblicazione di uno studio che coinvolge l’anticorpo monoclonale lecanemab per il trattamento dell’Alzheimer.

Lecanemab: attendiamo ulteriori conferme

In settimana sono stati pubblicati i dati di un nuovo candidato farmaco contro l’Alzheimer.

Si tratta di lecanemab, un anticorpo monoclonale sviluppato da una partnership formata dalla giapponese ESAI e dalla statunitense Biogen.

Ciò che è emerso finora avrebbe legittimato vividi entusiasmi, che si sarebbero certo manifestati se la notizia fosse uscita qualche anno fa.

Ma il disappunto causato dalle promesse non mantenute delle ultime dispendiose (da tutti i punti di vista) molecole ha reso la comunità scientifica molto scettica. Così, anche Nature non si lascia andare a commenti che non sarebbero affatto fuori luogo, visti i numeri. Ma preferisce attendere ulteriori analisi.

Cosa si sa finora di lecanemab

Il comunicato diffuso da ESAI racconta dei risultati dello studio di fase 3 cui è stato sottoposto lecanemab.

Il candidato farmaco ha portato al rallentamento del declino cognitivo lieve nel 27% dei partecipanti al trial clinico. Si attendono ulteriori conferme. Che, se arrivassero, avrebbero un impatto dirompente sullo scenario della patologia neurologica e ripercussioni forti sul piano sociale.

L’assetto demografico attuale, infatti, rischia di diventare esplosivo per quanto riguarda la cura delle malattie legate all’invecchiamento.

Un successo storico, speriamo

Alcuni ricercatori stanno già festeggiando.

It’s such a win for our field

Liana Apostolova – Neurologo, Indiana University School of Medicine Indianapolis,e consulente nel trial

Nell’articolo apparso su Nature anche il commento di G. Calb Alexander, membro dell’Advisory Committee di FDA, che definisce i risultati “abbastanza promettenti”. Ma aggiunge che sarà necessario analizzare nel loro complesso i dati emersi dallo studio per trarre conclusioni più precise.

L’eterno dilemma dell’ipotesi amiloide

Questa ricerca sembra anche importante ai fini della conferma della cosiddetta ipotesi amiloide, di recente in più occasioni messa in discussione.

Anche se non è un singolo studio a decretare o distruggere la validità di una teoria, è chiaro che potrebbe contribuire a ribilanciare gli equilibri.

Se i risultati fossero quelli che tutti ci aspettiamo, l’ipotesi amiloide riacquisirebbe validità e credibilità.

La notizia migliore fino ad oggi sull’Alzheimer

I numeri prodotti dal farmaco nello studio cui è stato sottoposto in fase di valutazione sono stati definiti “i più incoraggianti” finora emersi nel trattamento delle cause della malattia. A dirlo è Alzheimer Association, l’associazione pazienti che si occupa di advocacy per la malattia.

Di promesse le persone con l’Alzheimer, e le loro famiglie, ne hanno fin sopra i capelli. Ma un risultato minimo come quello espresso da lecanemab potrebbe significare davvero molto per essi.

FDA: il responso a gennaio

L’azienda produttrice ha sottomesso una richiesta di approvazione accelerata sulla base di dati generati dallo studio di fase 2, nel quale si evidenzia una riduzione nei depositi di amiloide.

Sulla documentazione, FDA si esprimerà presumibilmente non prima del 6 gennaio prossimo.