Fra le conseguenze principali della politerapia il rischio di reazioni avverse connesse all’interazione fra farmaci: engagement ed empowerment del paziente aiutano a ridurre i rischi.

La politerapia è l’assunzione concomitante di più farmaci appartenenti o meno alla medesima area terapeutica. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, a causa dell’aumento dell’età media della popolazione. La presenza di più patologie, molto spesso croniche, è infatti tipica dell’anziano.

Una fra le conseguenze principali della politerapia è l’elevata percentuale di reazioni avverse connesse all’interazione fra farmaci. Questa è definita come la risposta alla somministrazione contemporanea di più farmaci diversa da quella che rappresenta lo scopo della terapia. L’obiettivo è mantenere solo le sinergie positive delle multiprescrizioni.

Le interazione fra farmaci sono frequenti in clinica, poco considerate nelle linee-guida e ad alto rischio di conseguenze perché riguardano pazienti “fragili”. Nel caso in cui si tratti di anziani la maggiore permeabilità della barriera emato-encefalica (che non riesce a fare da filtro efficace nei confronti del cervello) e la frequente presenza di segni di declino cognitivo peggiorano una situazione già critica. Uno studio del Working Group geriatrico di AIFA (l’Agenzia del Farmaco) lo dice chiaro: più di 1.300.000 individui in Italia assumono 10 o più farmaci. Così come sono in continuo aumento i tassi di ospedalizzazione per le reazioni avverse.

Quando si verifica un’interazione farmacologica fra un farmaco A ed un farmaco B possono realizzarsi tre casi: A riduce l’effetto di B, lo potenzia oppure si manifesta una risposta diversa dall’effetto di A e di B.

I medicinali possono influenzare reciprocamente il proprio metabolismo. Il sistema metabolico più utilizzato dai farmaci (il citocromo p450, localizzato a livello del fegato) è caratterizzato da forte polimorfismo genetico: significa che varia fra gli individui. Pertanto, non è possibile stabilire parametri universali che identifichino con esattezza tempi e modalità di eliminazione di un farmaco dal corpo. Alcuni di noi metabolizzano certe medicine più ed altri meno velocemente. Una tendenza piuttosto comune è quella del rallentamento metabolico nell’età avanzata. Così come le malattie del rene e del fegato riducono la velocità con cui le medicine vengono escrete dall’organismo. La variabilità è un fattore che spinge al monitoraggio continuo i pazienti che assumono molti farmaci.

Facciamo alcuni esempi pratici che ci possono aiutare nella comprensione del problema.

L’antiobiotico metronidazolo rallenta il metabolismo dell’anticoagulante warfarin: questo significa che ne prolunga l’effetto. Assumendoli insieme il rischio di emorragie aumenta. Al contrario l’antiepilettico fenitoina accelera il metabolismo della pillola anticoncezionale, riducendone l’efficacia.

Le sostanze che variano il pH (ad esempio gli antiacidi) interferiscono con l’assorbimento delle sostanze acide o basiche, rallentandolo o accelerandolo.

Mentre i lassativi, che velocizzano lo svuotamento dell’intestino, vi riducono il tempo di permanenza delle sostanze diminuendone l’assorbimento. Viceversa i farmaci che riducono la peristalsi (come la morfina) ne aumentano la permanenza, accrescendone l’effetto.

Nel caso in cui si tratti di medicinali appartenenti alla stessa categoria si può incorrere nel rischio di overdose, perché i loro effetti si sommano. Questo capita piuttosto frequentemente con  gli antiinfiammatori, categoria che comprende numerose molecole, con caratteristiche eterogenee, di cui è frequente l’abuso.

Anche gli alimenti possono influenzare l’effetto di un medicinale. Il succo di pompelmo è uno dei cibi che più si presta a questo tipo di reazioni. L’effetto della digossina (per la terapia dello scompenso cardiaco congestizio) viene ridotto dall’assunzione di alcuni cereali e dei semi di girasole. A volte il cibo può intensificare la tossicità di una categoria di medicinali. E’ quello che accade agli inibitori delle MAO (antidepressivi), che, assunti contemporaneamente ad alimenti che contengono tiramina (come i formaggi stagionati ed il vino Chianti), possono scatenare forti crisi ipertensive.

Occorre prestare particolare attenzione anche agli integratori. Gli olii di pesce (tanto per intenderci, gli omega-3) possono incrementare la durata dell’azione del warfarin, aumentando il rischio di emorragie. Così come gli integratori di ferro ridurre l’effetto della levotiroxina, farmaco per la terapia dell’ipotiroidismo.

L’assunzione di alcool complica qualsiasi piano terapeutico. Aumenta la sonnolenza generata da sedativi, antiistaminici, antidepressivi ed ansiolitici. Inoltre irrita la mucosa gastrica, peggiorando gli effetti collaterali degli antinfiammatori.

La nomenclatura dei farmaci costituisce un fattore di rischio per possibili errori. Si tratta spesso di nomi complicati e qualche volta simili fra loro. Per questo si consiglia di etichettare le confezioni dei farmaci con la ragione per cui vengono assunti.

 

Quali sono le modalità di minimizzazione del rischio?

La comunicazione può fare molto. Nel caso delle patologie croniche informare il paziente sui comportamenti virtuosi da adottare per una corretta gestione della patologia contribuisce ad innalzare la protezione nei confronti di eventuali errori. Il passaggio da un modello di servizio sanitario paternalistico (passivo) ad uno partecipativo (attivo) implica la consapevolezza del paziente. Attraverso il suo coinvolgimento (engagement) anche nelle fasi decisionali (empowerment) la terapia è più efficace.

La questione della politerapia si fa acuta in occasione di visite in regime di Pronto Soccorso, in ambiente estraneo sia al medico di famiglia che agli specialisti che seguono il paziente e che saprebbero ricostruire un minimo della sua storia clinica. Il pericolo che venga prescritto un medicinale “interattivo” aumenta. La diffusione della sanità digitale, in particolare del Fascicolo Sanitario Elettronico, risolverà questo problema, ma i tempi per la sua implementazione su base nazionale restano lunghi.

In questo momento i sistemi informatizzati di supporto alla prescrizione risultano molto utili per la gestione del rischio. Un esempio è INTERCheck Web, sviluppato dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Quando il medico utente inserisce nel programma il nome di una medicina, automaticamente il software è in grado di valutare la possibile interazione fra farmaci ed il rischio connesso all’attraversamento della membrana ematoencefalica.

Un altro punto su cui è necessario lavorare è la compliance, ossia l’aderenza al protocollo terapeutico, che deve essere resa accettabile. Prescrivere molti farmaci con modalità di assunzione complessa e caratterizzati da numerose interazioni con sostanze farmacologiche o alimentari, riduce la probabilità che la terapia abbia successo, perché aumenta la confusione e il rischio di errori. In generale, e laddove le condizioni di salute del paziente lo consentano, less is more.

Non è superfluo parlare di modalità di sospensione di una terapia, dal momento che, in determinati casi, per evitare fenomeni di improvvisa riesacerbazione della sintomatologia, è necessario interrompere l’assunzione con gradualità.

In tutti i casi la figura del farmacista risulta centrale nell’orientare il paziente attraverso le complicazioni delle politerapie. La lettura del foglietto illustrativo (spesso lungo e stampato a caratteri molto piccoli) può risultare difficile, quando non addirittura ansiogena. In caso di dubbi affidarsi alla competenza del farmacista è certamente un’ottima soluzione.