Il valore aggiunto dell’eterogeneità culturale di Women in STEM è nel trasformare una polarità in flusso di energia, la differenza di potenziale in corrente.
Le discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono oggi uno strumento imprescindibile per raggiungere gli obiettivi che l’esigenza di innovazione e progresso ci impone. Sono quindi gli ambiti all’interno dei quali si concentrano le più numerose opportunità di lavoro, i settori maggiormente in crescita, ancora plastici e disponibili a concedere grandi spazi all’iniziativa individuale.
Ma la ripartizione dei professionisti a vario titolo impiegati nei settori scientifico-tecnologici privilegia ancora gli uomini.
Le ragioni per le quali le donne non trovano spazio sono tante. Certamente non è possibile escludere il discorso culturale: alle nostre latitudini determinate professioni sono archetipicamente appannaggio del sesso maschile. Si tratta di un retaggio culturale e, come tale, di una sovrastruttura, ma origina da motivazioni che vantano alcuni aspetti di legittimità.
Le materie scientifico-tecnologiche sono state vissute, almeno fino a poco tempo fa, secondo paradigmi di grande freddezza, confondendo la razionalità con la glacialità dell’osservazione asettica. Era ritenuto un atteggiamento necessario, funzionale all’ottenimento di determinati risultati.
La mia opinione è che uomini e donne siano profondamente diversi e che non possano e non debbano interessarsi per forza alle stesse cose. Credo che il valore stia nell’eterogeneità culturale, nel saper trasformare una polarità in flusso di energia, nell’essere bravi ad utilizzare la differenza di potenziale fra noi per far circolare corrente.
E, nell’ambito di queste differenze, l’emotività gioca un ruolo determinante. Difficilmente una donna sceglie volontariamente un ambiente di lavoro freddo, in cui l’aspetto umano è poco o per niente considerato, dove si citano numeri e formule senza che questi abbiano ricadute sull’essere umano, sulla sua complessità.
Mediamente le donne hanno bisogno di un confronto più ampio e soffrono le rigide classificazioni che per anni hanno caratterizzato questi settori.
Tuttavia oggi le cose sono cambiate. Nel giro di pochi anni la diffusione del concetto di intelligenza emotiva, lo smussamento della spigolosa idea di leadership e la maggiore apertura dei network (un tempo settari) attraverso i quali gli scienziati interagiscono hanno rivoluzionato lo scenario.
Le donne sono le stesse di prima, hanno le stesse attitudini (medie, è logico) di un tempo, non hanno subito mutazioni genetiche né ricevuto in dono superpoteri in grado di accrescere il loro talento nella scienza e nella tecnologia. Anche perché, con tutto quello che mediamente una donna è costretta a fare, se sopravvive, significa che i superpoteri ce li ha già.
Ora che le circostanze sono più favorevoli le donne hanno la possibilità di esplorare territori prima sconosciuti e hanno più possibilità di scegliere. E di fornire il loro prezioso contributo: la pazienza e la lungimiranza (valori inestimabili, per esempio, nelle attività di ricerca), il talento, la sensibilità, l’incredibile energia.
La società ha bisogno di una scienza più aperta, più vicina alle persone ed alle loro esigenze. Abbiamo tutti (come cittadini) necessità di un suo confronto autentico ed aperto, di una comunicazione attenta, che sappia veicolarne il messaggio, per le implicazioni che ha nella soluzione dei problemi dell’umanità, nel miglioramento dei nostri standard di vita. Questa è la direzione che il presente ci indica.
Le donne, dall’altro lato, hanno bisogno di cambiamento, di sperimentarsi in nuove sfide e mostrano finalmente velleità scientifico-tecnologiche.
Cosa c’è di meglio di due interessi che si incontrano?