Oggi, cari Amici, voglio affrontare una questione delicata, con le sue implicazioni sociali e personali variegate. Un argomento complesso, difficile da esaminare, e tuttavia responsabile di forti espressioni umane. L’infertilità è un problema che necessariamente si inserisce nella vita delle coppie che ne soffrono, qualche volta in maniera più silenziosa, qualche altra con la potenza deflagrante di un ordigno. Se per alcuni la genitorialità è solo un’espressione della propria personalità, per altri l’impossibilità di realizzarla alimenta un carico emotivo potenzialmente intollerabile.

Profondamente impegnata per anni nello studio di patologie mortali e avendo raggiunto un discreto successo in questa direzione, la scienza ora scopre la possibilità di esplorare importanti percorsi verso la soluzione di problemi non (direttamente) letali. E’ così che la questione dell’infertilità è oggetto di numerose ricerche e, tra le complessità tecniche ed etiche delle sue possibili soluzioni, coinvolge sempre di più la politica, lasciandola senza fiato nel tentativo di tenere il passo del progresso scientifico e tecnologico.

In attesa di trovare una soluzione nella gestione di tutte le tipologie di infertilità, la comunità scientifica ci fornisce gli ultimi, entusiasmanti risultati clinici sperimentali. La Sindrome di Rokitanskij è una malformazione genetica fetale che, fra le altre manifestazioni patologiche, implica la mancanza dell’utero. Nel corso del 2012, in Svezia, sono stati effettuati, per la prima volta al mondo, nove trapianti di utero da donatrice vivente. Le riceventi erano donne reduci reduci da patologia oncologica o dalla Rokitanskij.
Si è trattato di una iniziativa pionieristica, non solo perché è stato il primo intervento di questo tipo, ma anche perché ha rappresentato il primo trapianto di un organo non indispensabile alla vita. Le donne coinvolte nella sperimentazione, hanno ricevuto l’utero da madri, sorelle, amiche o parenti (la consanguineità favorisce la compatibilità immunologica) e sono ora in buone condizioni. Il trapianto ha avuto successo in sette casi: le ragazze hanno avuto il ciclo mestruale e sono risultate essere potenzialmente fertili. Tre di loro sono diventate madri, attraverso fecondazione assistita, dal momento che l’intervento non collega le tube di Falloppio all’utero.

Tuttavia, le gravidanze hanno tenuto i ricercatori con il fiato sospeso fino all’ultimo, a causa del rischio legato all’esposizione fetale ai farmaci anti-rigetto associati al protocollo post-operatorio. Allo scopo di minimizzare il rischio di complicazioni, i medici hanno ridotto drasticamente i dosaggi per tutti e nove i mesi.

Al termine delle gravidanze l’utero è stato rimosso dall’addome delle pazienti, attraverso un nuovo intervento. Questo allo scopo di evitare gli effetti collaterali della terapia immuno-soppressiva.

Il trapianto di utero da donatrice vivente è una procedura molto lunga (quasi 10 ore) e faticosa. L’equipe chirurgica deve comprendere esperti di micro-chirurgia.

Recentemente, il primo trapianto di utero da donatore cadavere, è stato effettuato in Ohio, USA. Sfortunatamente, l’intervento non ha avuto lo stesso successo dei casi svedesi. L’organo è stato quasi subito rimosso, a causa di un’infezione post-operatoria da Candida albicans. Tuttavia, gli studiosi sono fiduciosi nelle possibilità di successo di questa procedura. Oggi circa 50.000 donne negli Stati Uniti sono in attesa di un intervento di questo tipo.

Non conosciamo il momento in cui questa tecnica verrà inserita a pieno titolo nella routine clinica, ma quando avverrà, sarà un significativo passo avanti nell’offrire alle donne con cui la natura o il destino non sono stati generosi, la straordinaria opportunità di diventare mamme. Contestualmente, eviteremo il rischio che la maternità surrogata diventi una tecnica diffusa, con tutte le conseguenze del caso.
E tu, cosa ne pensi? Sei ottimista riguardo i progressi della scienza? E’stato facile per te diventare madre?