Quando ci lamentiamo delle inefficienze del Servizio Sanitario dobbiamo essere consapevoli del fatto che tutti ne siamo in parte responsabili.

Colpisce l’articolo pubblicato da Stat News riguardo l’impatto economico sul malato che le cure per gravi patologie generano nel sistema sanitario americano. In particolare si stima che la possibilità di default economico dei sopravvissuti al tumore sia del 260% maggiore rispetto a chi non ha avuto la malattia.

Abbiamo espresso tutti grandi elogi per il lancio, da parte del Vicepresidente Joe Biden, della Cancer Moonshot Initiative. Io per prima ho speso parole testimoni di grande entusiasmo nei confronti degli sforzi del Governo americano nel promuovere la ricerca scientifica.

Ma se la traslazione dell’alacre impegno in laboratori super sofisticati non è al letto del paziente, bensì al prosciugamento delle sue risorse economiche, se l’innovazione si traduce in iniquità sociale, ha ancora un senso?

In Italia le protezioni sociali sono maggiori, grazie al cielo. E il nostro Servizio Sanitario, nel quale io credo fermamente, è efficace nel bilanciare le disuguaglianze. Ma sta cedendo sotto i pesanti colpi della spesa farmaceutica e delle inefficienze.

Il costo dei farmaci innovativi è incredibilmente alto e la popolazione anziana (la frazione che statisticamente più soffre di patologie croniche e quindi utilizza più medicine) è in continuo aumento. Due fattori che devono spingerci ad agire al più presto. La riallocazione delle risorse necessarie per fare fronte a queste emergenze ci obbliga a strategie di razionalizzazione della spesa.

Se crediamo in questo modello è giusto non solo che ci domandiamo cosa possiamo fare per salvarlo, ma anche che lo facciamo. Quando ci lamentiamo delle inefficienze del SSN dobbiamo essere consapevoli del fatto che tutti noi, con i nostri comportamenti poco virtuosi, ne siamo in parte responsabili.

Come possiamo contribuire, ciascuno per la propria parte, a mantenere l’equità sociale che questo sistema garantisce?

Per esempio utilizzando i generici. Sono farmaci equivalenti ai prodotti di marca. Ho capito che siamo abituati a quella confezione, affezionati a quel nome, che magari è anche entrato nel nostro linguaggio abituale, ma non possiamo lasciare che siano questi aspetti a determinare il nostro orientamento terapeutico.

Così come non possiamo pretendere che il medico ci prescriva un medicinale solo perché un amico ci ha riferito (tessendone le lodi) di quanto ha funzionato bene su di lui. I criteri con cui si effettuano le scelte delle cure sono altri e passano attraverso principi di oggettività. Assumere un farmaco in seguito ad un passaparola non è solo eticamente ed economicamente sbagliato: è anche pericoloso. I farmaci hanno effetti collaterali (primo motivo per cui vanno presi solo quando effettivamente necessari), cui si somma, in caso di indicazione sbagliata, il mancato effetto terapeutico che avremmo potuto ottenere se avessimo preso il medicinale corretto. La medicina deve essere evidence based, cioè basata sulle prove scientifiche, non sulle opinioni della pausa caffè.

In altre parole, il medico è tenuto all’appropriatezza prescrittiva, cioè a dare il farmaco giusto, al paziente giusto e al momento giusto.

Chiaro, penserete voi: perché prescrivere al malato una medicina inutile, dove per inutile si intende (per le ragioni dette sopra) che potrebbe avere conseguenze negative? Semplice: perché glielo chiediamo.

Sapete cos’è la medicina difensiva? E’ la pratica secondo la quale il medico si protegge da eventuali azioni medico-legali scaturite nei suoi confronti a seguito delle sue prestazioni. Ci costa in totale (non solo farmaci) 10 miliardi ogni anno.

Cercando di orientare il comportamento del medico non facciamo il nostro bene, perché rischiamo di metterlo in una posizione scomoda che gli impedisce di prescriverci le cure corrette. Spaventato all’idea che noi possiamo imputargli una possibile conseguenza (magari senza nesso di causalità) dei nostri malanni, sarà spinto a consigliarci (in barba a scienza e coscienza) una medicina che ritiene inutile, così da mettersi al riparo da eventuali denunce. Questo avviene di frequente per gli antibiotici, il cui consumo (per questa ed anche per altre importanti ragioni) deve essere ridotto.

Nel 2015 (dati AIFA) ogni italiano ha consumato in media 1,8 dosi di farmaco al giorno, per un totale di 28,9 miliardi di spesa (+8,6% rispetto al 2015). Il 76,3% di questa cifra complessiva è stato rimborsato da SSN. Si tratta di grandi, enormi numeri: la spesa farmaceutica dello scorso anno è stata pari all’1,9% del PIL!

E’ chiaro che uno dei fattori che gonfiano la spesa è l’abuso dei farmaci, che tutti noi, in maniera diretta, dobbiamo annullare.

Ce lo dice anche il vecchio adagio che “prevenire è meglio che curare”. In tutti i sensi: più benefici per la salute e minori spese. Sappiamo stimare anche spannometricamente che i trattamenti innovativi contro il tumore costano molto di più rispetto alle campagne di prevenzione. Ma le campagne di prevenzione funzionano solo se c’è qualcuno disposto ad aderirvi. Assumere abitudini alimentari corrette, praticare (con modalità personalizzate) sport, smettere di fumare, evitare l’abuso di alcol, sottoporsi agli screening consigliati con regolarità sono raccomandazioni quasi banali. Ce le sentiamo ripetere con cadenza giornaliera. Eppure sopravvivono abitudini dannose per la nostra salute.

Possiamo fare tutti molto per la nostra Sanità, perché la Sanità possa fare molto per noi.