Il pessimismo può imprevedibilmente attribuire una dimensione più reale all’innovazione: vediamo come…
Primo articolo del 2017. WELLNESS4GOOD avrebbe voluto cominciare l’anno nuovo con un pezzo entusiasmante, una molecola di quelle che cambiano la storia della farmacologia, la pubblicazione di dati confortanti sull’efficacia dei nuovi farmaci antitumorali. Tuttavia non gli è stato consentito: un inconsueto pessimismo si è impadronito della tastiera. Impossibile neutralizzarlo. Nessuno scoop chimico-farmaceutico, numeri che non mettono addosso allegria sul versante oncologico.
Tempo fa ho scritto che innovazione (puoi rivedere al link che ti ho indicato, se ti va) è solo ciò che interviene determinando un nuovo andamento nella storia collettiva delle malattie e individuale dei pazienti. Non tutto ciò che è nuovo, infatti, impatta in maniera dirompente sull’esistenza dei malati. Purtroppo negli ultimi tempi si è prodotta molta novità, ma relativamente poca innovazione. Perché sia traslata nella realtà individuale del singolo paziente, un’iniziativa medica di qualunque genere, sia essa una procedura, un farmaco, un dispositivo, una tecnica, occorre che superi una serie di “ostacoli”, creati ad arte per metterla alla prova. Deve anzitutto essere sicura, ossia non arrecare danni alla persone che ne fanno uso (Primo non nuocere – dal Giuramento di Ippocrate). In secondo luogo è necessario che sia efficace, cioè che svolga effettivamente la funzione per cui è stata testata.
Le sperimentazioni cui vengono sottoposti i farmaci riguardano un numero limitato di pazienti, il che non rappresenta una condizione reale. In seguito all’estensione del campo di applicazione, che coincide con l’immissione in commercio della sostanza, si possono verificare delle variazioni nel profilo della sicurezza e dell’efficacia direttamente connesse all’osservazione del comportamento della molecola in un contesto reale. Per questa ragione le autorità regolatorie del farmaco (in Italia AIFA, in Europa EMA) dispongono che la medicina, una volta immessa in commercio, sia sottoposta ad un periodo di osservazione (farmacovigilanza), durante il quale medici, farmacisti e singoli pazienti devono/possono denunciare attraverso speciali moduli qualsiasi effetto non dichiarato nel foglietto illustrativo. Diciamo che è un’ulteriore misura di sicurezza con cui si “sorveglia” il comportamento del farmaco nelle prime fasi della sua commercializzazione.
Come potrete facilmente comprendere, al di là della verosimiglianza dei luoghi comuni che ormai costituiscono veri e propri archetipi collettivi sul potere ed i ricavi a nove cifre delle industrie farmaceutiche, ogni molecola deve affrontare una serie estenuante di prove, che si protrae per anni e presenta un rischio di insuccesso elevato. Per ogni sostanza che entra effettivamente in produzione, un numero elevato di composti meno fortunati viene scartato, mandando in fumo (oltre alle speranze dei pazienti) investimenti cospicui. Le industrie farmaceutiche, per minimizzare le perdite e massimizzare i profitti (non vedetela sempre attraverso la lente del malaffare, chiunque lavori ci vuole guadagnare il più possibile), tendono così a concentrarsi su molecole già in uso, rielaborate per migliorarne il profilo di efficacia, ridurne gli effetti collaterali o, più semplicemente, renderne più facile l’assunzione (ad esempio cambiando la forma farmaceutica: la somministrazione orale è preferita alle iniezioni).
Mentre non è il numero degli studi o delle pubblicazioni a costituire un problema, lo è il fatto che solo una percentuale minima di questi viene traslata in un prodotto, farmaco o dispositivo, effettivamente in grado di entrare nella pratica clinica.
Per queste due ragioni (costi elevati e basso trasferimento tecnologico) le novità spesso rimangono tali: il clamore suscitato da una pubblicazione che accende gli animi, nella maggior parte dei casi non ha conseguenze industriali. Sotto certi aspetti questo rientra in un profilo di normalità, perché non tutte le scoperte hanno ricadute di un certo valore sull’umanità e anche perché talvolta il bilancio costi/benefici non è favorevole all’industrializzazione del prodotto. Tuttavia in un’epoca caratterizzata da un bombardamento mediatico senza precedenti le aspettative dei cittadini riguardo il progresso medico sono alle stelle e completamente starate rispetto alle reale capacità del sistema di soddisfarle.
In questo framework un po’ incoerente il compito delle agenzie dal Farmaco e del Ministero della Salute nell’individuazione di ciò che è veramente innovativo (ho scritto un post per spiegare questo principio: puoi leggere al link) allo scopo di orientare e concentrare gli investimenti in materia di Sanità, diventa molto complesso. Occorre non dimenticare mai che le prove hanno un ruolo determinante nei processi decisionali scientifici: laddove non sostenute dai dati anche le iniziative più acclamate non devono essere finanziate.
Ed è esattamente in questo punto che si innesta in maniera naturale il secondo iniziale spunto di pessimismo. Gli ultimi giorni del 2016 il JAMA (una delle riviste scientifiche più prestigiose del pianeta) ha pubblicato un articolo sull’analisi dei dati sull’efficacia dei farmaci oncologici innovativi nel prolungare la sopravvivenza dei malati di cancro. Non sono entusiasmanti. Nella maggior parte dei casi si tratta di pochi mesi in più in condizioni comunque gravemente compromesse, a fronte di esborsi miliardari. Capisco che riesumare un peraltro mai sepolto Shakespeare sia operazione troppo facile, ma non posso evitare di pensare a quanto un much ado about nothing descriva in maniera precisa l’incredula disperazione di coloro che hanno esaminato quei numeri.
Siamo quindi in una condizione di impasse. Come uscirne? Come si superano tutti i momenti difficili. Anzitutto guardando avanti, al futuro, prendendo le distanze dai singoli eventi, per cogliere la big picture. Le autorità politiche e sanitarie devono prendere decisioni fondamentali per la società (le politiche sanitarie lo sono, per forza di cose) osservando i fenomeni nella loro globalità. E poi lasciando decantare i fatti, depurandoli dai facili entusiasmi che possono compromettere l’attendibilità delle deduzioni.
In definitiva l’obiettivo per il 2017 è il potenziamento del trasferimento tecnologico in stretto accordo con i criteri di valutazione per l’attribuzione del grado di innovazione terapeutica. Dobbiamo rendere le scoperte più fruibili, concentrandoci solo su quelle che hanno buona possibilità di cambiare la vita dei pazienti.
(Photo credit: SomeDriftwood via VisualHunt.com / CC BY-NC)
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