Si è concluso da qualche giorno il Congresso della Società Europea di Cardiologia, ESC2016, il più importante appuntamento annuale del settore, che ha riunito (per la prima volta a Roma) specialisti provenienti da tutte le parti del mondo.

Il meeting è stato così importante da ricevere la benedizione del Papa, che ha portato il suo saluto l’ultimo giorno dei lavori, in chiusura.

Fra le considerazioni più rilevanti emerse durante lo svolgimento del Congresso, troviamo senza dubbio quelle che hanno portato alla stesura delle nuove Linee Guida in tema di colesterolo (ma il termine più corretto sarebbe "dislipidemie", cioè alterazioni dei livelli dei lipidi circolanti nel sangue), anche per le ripercussioni che avranno sulle nostre abitudini, sul nostro modo di curarci e di mangiare, per non parlare dell'impatto sulla gestione di questa questione sociale e sanitaria da parte del Ministero della Salute.

Gli esperti hanno deciso di dimezzare il limite superiore del range in cui il colesterolo è considerato fisiologico.

Ebbene sì. Da adesso la concentrazione massima compatibile con la normalità passa da 190 mg/dL a 100. Questo significa che, se prima ci era “consentito” di avere valori di colesterolo LDL (quello cosiddetto “cattivo”) fino a 190 senza essere considerati “malati”, ora superando 100 il nostro medico potrebbe decidere di prescriverci un farmaco per tenerne sotto controllo i livelli.

Come si giustifica questo inasprimento?

Per esempio ricordando che LDL è il parametro che rappresenta il più importante fattore di rischio per la patologia cardiovascolare.

Il colesterolo è un elemento che, come tutti noi sappiamo, ha tutte le caratteristiche di un grasso. Farebbe fatica a viaggiare nel sangue, che, invece ha una natura acquosa. Se proviamo a mettere delle particelle di olio nell’acqua, infatti, osserviamo che queste tenderanno ad addensarsi fra loro e ad opporsi al moto fluido nel mezzo acquoso. Per questa ragione il colesterolo viene trasportato nel sangue da speciali proteine, LDL (quelle a densità minore, Low Density) e HDL (a densità maggiore, High Density), Queste sono molecole straordinarie: all'interno hanno affinità con i composti grassi, mentre all'esterno la loro interazione con i mezzi acquosi prevale. Quindi ospitano il colesterolo nella cavità che racchiudono e gli consentono di viaggiare in maniera corretta all'interno dei nostri vasi sanguigni. Mentre le HDL sono incaricate di veicolare il colesterolo buono, le LDL veicolano quello "cattivo", quello che danneggia le nostre arterie (e sotto vedremo il perché).

La molecola trasportata dalle LDL è considerata in maniera così poco edificante dai medici (e, grazie alla sua notorietà, ormai anche da tutti i profani della materia) per la sua attitudine a depositarsi all’interno delle nostre arterie, formando le cosiddette placche che portano a tre pericolose conseguenze.

La prima è che ostruiscono il passaggio del sangue. Ricordiamo che il sangue contiene ossigeno, indispensabile per la sopravvivenza dei tessuti. Se ad essi non arriva una sufficiente quantità di ossigeno, rischiano l’ischemia e, se la situazione di deficit si protrae per un tempo sufficientemente lungo, la morte per necrosi. E’ quello che avviene nell’infarto. Le coronarie hanno un diametro inferiore per via dei depositi di colesterolo al loro interno e le cellule del cuore non ricevono abbastanza ossigeno. Nell’area in cui l’episodio si verifica il tessuto cerca di ripararsi alla “bell’e meglio”, come può: dove si è formata la cicatrice le cellule, com’è facilmente prevedibile, non funzioneranno mai più con la stessa efficienza di quelle sane. In più, tutta la struttura del cuore diventa più rigida e, di conseguenza, meno elastica. E questo peggiora la sua funzionalità.

La seconda bruttissima evenienza che le placche causano è rappresentata dal fatto che, rappresentando un ostacolo nelle condotte in cui il sangue scorre, ne rendono il flusso irregolare e vorticoso e, nei punti in cui sono depositate, irrigidiscono la parete dei vasi. In questo modo ne indeboliscono la struttura e aumentano la probabilità che esse si danneggino. Questo può creare, alla lunga, degli sfiancamenti della parete: sono gli aneurismi, che, in caso di rottura, danno luogo ad emorragie spesso letali.

Alla luce di tutto ciò quello che gli studiosi ci dicono è che dobbiamo concentrare i nostri sforzi per mantenere le nostre arterie pulite. Quindi, indipendentemente dagli altri fattori di rischio, il nostro colesterolo LDL deve rimanere compreso nel range fra 70 e 100 mg/dL.

Una rivoluzione in piena regola. Un ulteriore giro di vite rispetto alle linee guida già in vigore in passato.

Molte sono le voci fuori dal coro. Criticando le decisioni di ESC2016, in molti hanno puntato il dito contro l’eccessiva medicalizzazione della terapia. Da un lato, infatti, ESC ha promosso, in diverse forme e modalità, l’aderenza ad uno stile di vita più equilibrato, la scelta di un’alimentazione integrata e varia (che somiglia molto ad una nostra vecchia conoscenza, la dieta Mediterranea), l’esercizio fisico moderato ma costante, l’adozione di abitudini compatibili con una vita più sana. Dall’altro, riducendo i livelli massimi di colesterolo tollerabili, aumenta significativamente la probabilità di prescrizione di farmaci che ne riducano la concentrazione nel sangue, nella fattispecie le statine. Questo ha scatenato numerose polemiche: la solita Big Pharma che controllerebbe l’attività di prescrizione dei medici. Lobby che controlla lobby.

Senza contare, trattandosi di farmaci completamente rimborsabili, le ripercussioni sulle casse del Servizio Sanitario nazionale, già non in perfetta salute (per restare in tema…).

L’approccio anti-colesterolo potrebbe effettivamente sembrare eccessivamente aggressivo, ma se vogliamo proprio elaborare osservazioni (ma, dico io, non vi bastano i cenni di patologia con cui ci siamo “dilettati” poco fa?), non possiamo trascurare l’analisi di un fenomeno che ha del catastrofico. Negli Stati Uniti, nonostante le previsioni della vigilia, che davano come favorito il cancro, la patologie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte. Basta dare un’occhiata alle “Leading Cause of Death” del centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie statunitense (CDC) per capire il significativo impatto, sociale e personale, che queste malattie creano. Big killers che hanno ucciso nel 2015 615.000 nei soli States.

In Italia non ce la passiamo certo meglio: le malattie cardiovascolari da noi sono responsabili del 44% dei decessi totali.

Di fronte a cifre di quest’ordine di grandezza, non ci si può permettere di aspettare: se, nonostante i moniti, la situazione non migliora, è necessario intervenire con sistemi drastici. A mali estremi, estremi rimedi.

Cosa ne pensate? In che stato di pulizia sono le vostre arterie?