Il recente Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC2016), cui le cronache hanno dato molto risalto anche grazie al fatto che si è tenuto a Roma, ha evidenziato l’importanza della telemedicina nel salvare la vita ai pazienti, in particolare a quelli che soffrono di patologie cardiovascolari. Studi approfonditi evidenziano come questa metodologia innovativa consenta di ridurre significativamente le cosiddette “morti evitabili”, cioè quelle che non sarebbero accadute se fossero state somministrate adeguate cure e procedure di assistenza.

Nonostante l’importanza clinica e sociale di questi dati, in Italia la telemedicina non sta riscuotendo il successo che meriterebbe, o che, almeno, si prevedeva avrebbe suscitato.

Come mai una risorsa tanto moderna, innovativa e che ha dimostrato efficacia, non prende piede? Perché la tanto attesa rivoluzione digitale continua ad essere solo attesa e si fatica ad apprezzarne le manifestazioni concrete?

Cerchiamo di capire le ragioni.

La telemedicina viene definita dalla Commissione Europea appositamente costituita per la sua implementazione come:

“L’integrazione, monitoraggio e gestione dei pazienti e del personale, utilizzando sistemi che consentano un pronto accesso alla consulenza di esperti ed alle informazioni del paziente, indipendentemente da dove il paziente o le informazioni risiedano”.

Per sondare gli effettivi benefici garantiti dalle procedure digitali in sanità, è stato condotto uno studio sul territorio. Attraverso il coinvolgimento della rete nazionale delle farmacie italiane e Federfarma si è istituito un network telematico per il monitoraggio remoto dei pazienti già colpiti da un evento cardiovascolare. I risultati, presentati al Congresso di Cardiologia, hanno sottolineato il successo della telemedicina nella limitazione del numero delle morti evitabili e nel consentire ai pazienti un aumento della sopravvivenza ed una riduzione del numero dei ricoveri.

Ma come funziona, nel pratico, questo sistema?

Il malato, stando a casa propria, indossa sensori (gli wearables di cui abbiamo tante volte parlato) che rilevano i suoi parametri vitali. Questi dati vengono raccolti da apparecchiature digitali e inviati telematicamente (da qui il nome “telemedicina”) a dispositivi controllati da specialisti. Il sistema è in grado di evidenziare le anomalie nei valori, in modo che i pazienti possano ricevere le terapie adeguate nei tempi più brevi.

Telemedicina è quindi teleconsulto, telerefertazione, telediagnosi, telemonitoraggio, teleriabilitazione.

La realtà territoriale italiana è ancora molto frammentata. Per il malato la distanza virtuale fra ospedale e casa è elevata e, una volta dimesso, perde la possibilità di avere un monitoraggio delle sue funzioni cardiocircolatorie continuo ed è costretto a tornarci ogni volta che abbia necessità di controlli programmati e sospette emergenze.

I risultati sono l’elevata quota di spesa legata all’ospedalizzazione ed il sovraffollamento delle strutture sanitarie.

La telemedicina ha l’obiettivo di coprire il gap fra ospedale e casa. Il paziente, una volta dimesso, può essere monitorato da lontano (“remote monitoring”) e continuativamente, in maniera efficace ed efficiente. Il malato rimane ricoverato solo per l’intervallo di tempo strettamente necessario (ad esempio, i tempi tecnici relativi ad un intervento chirurgico) e rientra a domicilio senza tuttavia perdere la garanzia del controllo non-stop dei suoi parametri vitali (pressione arteriosa e battito cardiaco, in primis).

E’ decisamente anacronistica l’immagine del paziente che trasporta tutti gli incartamenti relativi alla sua anamnesi da un medico ad un altro, da una struttura sanitaria ad un’altra, spiegando e rispiegando ogni volta la sua storia clinica. Abbiamo bisogno di un network in cui i dati sulla nostra salute possano circolare, in maniera sicura e protetta, ed essere consultati ed utilizzati ogni volta che si renda necessaria l’assistenza medica.

Cosa manca perché si realizzi un effettivo decollo della telemedicina?

Le richieste di base sono quelle descritte dalla Commissione Europea: integrazione, monitoraggio e gestione.

Il “Patto per la Salute” comprende il “Patto per la Sanità Digitale”, che origina dalla scelta del Governo di investire nel progetto della telemedicina. In essa, infatti, sono stati individuati, per le ragioni di cui sopra, vantaggi certi, sotto tutti i profili, per il Servizio Sanitario Nazionale e per la salute pubblica, anche se a fronte di investimenti iniziali cospicui. In particolare in un Paese come il nostro, in cui la popolazione ha un’età media elevata ed è quindi, per natura e statistica, soggetta non solo alle patologie cardiovascolari, ma anche a frequenti ricoveri.

Il Patto per la Sanità Digitale prevede l’implementazione delle procedure telematiche allo scopo di rendere possibile e diffuso l’utilizzo della telemedicina, di integrare la rete ospedaliera con il territorio e di mantenere un network globale attivo.

Ma l’impressione è che siamo ancora molto lontani dagli obiettivi.

E’ irrazionale immaginare di semplicemente digitalizzare i sistemi già in uso. Per introdurre  e portare a regime la telemedicina è necessario ripensare gli schemi, riorganizzare molti ambiti del Servizio Sanitario, ancora disomogeneo al suo interno per via delle discontinuità legate al federalismo sanitario.

In particolare, per quanto riguarda le interazioni virtuose che si dovrebbero stabilire. Innanzitutto fra Stato e regioni, fra cui è auspicabile che si instauri, da questo punto di vista, una forma di partnership, con la condivisione del rischio sugli investimenti. E, in secondo luogo, fra pubblico e privato.

La circolazione telematica delle informazioni richiede una banda larga non solo funzionante ma anche capillare. Teniamo conto del fatto che il monitoraggio a distanza dei pazienti serve proprio nei distretti del nostro territorio in cui la banda larga non c’è. Ricordiamo le parole scritte nella definizione della Commissione Europea: “…pronto accesso […] indipendentemente da dove…” . Quindi la sanità digitale necessita anche, a ritroso, del supporto finanziario destinato alle telecomunicazioni.

C’è molto su cui lavorare, anche perché, in aperto contrasto con gli obiettivi dichiarati dal Governo,  la telemedicina non è prevista nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, sostanzialmente le prestazioni minime che il Servizio Sanitario è tenuto a fornire ai cittadini, né è inquadrata nei DRG (i raggruppamenti in cui vengono suddivisi i ricoveri ospedalieri in base alle patologie).

Sotto questo aspetto, viene definita come una “particolare modalità di erogazione della prestazioni”. E’ abbastanza chiaro che, volendo raggiungere l’obiettivo della sua diffusione, la gestione debba essere più strutturata e l’aggettivo “particolare”  scomparire: devono essere chiari definizione tariffaria e modelli di rimborsabilità (ed eventuale co-paying). Chi paga la prestazione? La prestazione viene rimborsata?

Molti sforzi dovranno essere investiti anche nella sicurezza. La configurazione legale-regolatoria è uno snodo cruciale nella pianificazione e nella successiva realizzazione della telemedicina.

In ultima analisi, nessuno dei tre punti richiesti dalla definizione di telemedicina è soddisfatto pienamente. Per rispondere ai requisiti sono necessari ulteriori investimenti. Nell’ultimo periodo, è vero, la spesa per la digitalizzazione, in Italia, è cresciuta. Ma non abbastanza velocemente. E poi sforzi gestionali che sappiano dare forma e rappresentazione razionale alla frammentazione del territorio.

Ecco perché la rivoluzione digitale non è ancora decollata.