Brian May aveva una passione e ci ha creduto, ha perseverato e voluto di più.

Brian May non ha bisogno di presentazioni. Uno che viene eletto secondo miglior chitarrista di tutti i tempi (il primo è Eddie Van Halen), che ha scritto la storia della musica rock insieme con elementi del calibro di Freddie Mercury, fa anche a meno dei preamboli usualmente impiegati per aprire un post.

Se non fosse che oggi non parliamo di rock, né di chitarre dal suono prodigiosamente armonioso.

Come ogni giorno parliamo di scienza. Perché a volte la passione per la scienza è così forte da resistere anche all’intenso richiamo delle potenti sirene del rock. Brian May si è dedicato alla musica, con risultati che sono sotto l’occhio di tutti. Ammirato anche dalle nuove generazioni, ha conosciuto il successo planetario all’epoca di Bohemian Rhapsody ed altri capolavori che non ci stancheremo mai di ascoltare. Ma da bambino manifestava già il germe di un altro, grande amore. Emerge con chiarezza quando lo sentiamo raccontare che la sera supplicava i genitori di lasciarlo sveglio per seguire la trasmissione The Sky at Night.

Per un certo periodo della sua vita le due “amanti” hanno convissuto in equilibrio, consentendogli di fondare, insieme a Freddie e a Roger Taylor, i Queen e di frequentare l’Imperial College di Londra per laurearsi con lode in Fisica e Matematica. Poi, abbastanza prevedibilmente visti gli sviluppi del loro progetto musicale, Brian è stato spinto ad una scelta. La musica è diventata il suo major.

May ha lasciato in sospeso il dottorato in Astrofisica sull’Astronomia dell’infrarosso intrapreso subito dopo la laurea per dedicare tutta l’energia necessaria all’esigente carriera musicale.

Ma la passione per la scienza è qualcosa che difficilmente cede ad altri interessi. Quando è vera, sentita, partecipata, sopisce sotto le braci, pronta a riaccendersi al momento opportuno.

Così, a 60 anni, Brain May riprende gli studi e ottiene il dottorato in Astrofisica, chiudendo un cerchio aperto trent’anni prima. La sua tesi sull’analisi della luce riflessa dalle polveri cosmiche nel sistema solare, la cosiddetta luce zodiacale, viene pubblicata nel 2008. Il fenomeno della luce riflessa è osservabile da determinate aree rurali poco illuminate un paio d’ore prima dell’alba. Era noto anche nell’antichità, tanto che fu descritto da un astronomo persiano del dodicesimo secolo, il quale lo poetizzò definendolo una sorta di “falsa alba”.

Ma dubito che a May bastasse il compimento della geometria. Chiunque viva una passione e sia tanto lungimirante da crederci veramente, persevera, procede, vuole di più.

Dopo il dottorato il rocker scienziato viene nominato visiting researcher all’Imperial College, dove continua ad occuparsi di astrofisica. E a pubblicare. Nel 2006, in collaborazione con altri due ricercatori, è la volta di Bang – The Complete History of the Universe e nel 2012 di The Cosmic Tourist. Fino all’exploit del 2015, quando Brian inizia una collaborazione alla missione NASA New Horizons per lo studio di Plutone. Anche per questo nello spazio da lui tanto studiato ed amato è sospeso un asteroide che porta il suo nome, 52665 Brianmay.

“Ho sempre avuto la doppia passione”, dichiara May. E prosegue: “Sono riuscito a viverle entrambe. Penso che possiamo realizzarci completamente sviluppando entrambe le componenti dell’intelletto, quella artistica e quella scientifica. E’ solo da due generazioni che ci si è dimenticati di questo! Pensate a Copernico, a Fox-Talbot, a Newton (cui Brian è legato anche da un’incredibile somiglianza fisica [n.d.r.]), persino Einstein… si può osservare chiaramente come loro non vedessero distinzioni fra queste due dimensioni”.

Leggendo bene fra le righe delle canzoni da lui meravigliosamente composte non è difficile scorgere le tracce della passione che ha saputo custodire per anni.

Take heart my friend we love you, though it seems like you’re alone,

A million lights above you smile down upon your home

Hurry put your trouble in a suitcase, come let the new child play

Lonely as a whisper on a star chase, I’m leaving here I’m long away

(Long Away – dall’album A Day At The Races, 1976)

(Credits: NASA/JHUAPL/SwRI/Henry Throop)