Il sonno ci fa dimenticare per poter apprendere meglio.
Un pezzo di ieri di Carl Zimmer, uno dei più stimati giornalisti scientifici americani e certamente fra i miei autori preferiti, ha attirato la mia attenzione su un argomento molto interessante di cui WELLNESS4GOOD non scrive da un po’. Nel suo articolo per il New York Times Zimmer si domanda quale sia il ruolo che il sonno ha nell’ambito della fisiologia dei viventi. Per rispondere a questo affascinante interrogativo si rifà ad uno studio condotto da due scienziati italiani impegnati in un progetto di ricerca presso la Madison University del Wisconsin. I risultati della ricerca di Chiara Cirelli e Giulio Tononi sono stati pubblicati qualche giorno fa su Science (ecco il link all’articolo).
Molti scienziati, in passato, hanno tentato di interpretare le funzioni del sonno. Per un certo periodo, in accordo con i loro studi, il sonno sembrava essere un sistema intelligente per recuperare le energie spese durante la fase di veglia. Un’altra ipotesi che ha tenuto banco per diverso tempo è stata quella di vedere il sonno notturno come un meccanismo di ripulitura del cervello dalle scorie del metabolismo cellulare.
Questa ricerca fa tuttavia il punto su una serie di evidenze sperimentali che rivelano come il ruolo del sonno sembri essere in realtà quello di farci dimenticare una parte delle cose che impariamo durante la giornata.
Un neurone non ha la forma sferica che siamo abituati ad attribuire alle cellule. E’ (detto molto schematicamente) formato da un corpo centrale (che contiene il nucleo) e da un prolungamento (assone), che termina in corrispondenza di un altro neurone. I neuroni sono quindi interconnessi fra loro, a formare una rete all’interno della quale avviene la trasmissione di impulsi elettrici. La superficie in corrispondenza della quale questo si verifica è chiamata sinapsi, la giunzione fra due neuroni contigui. Gli assoni che originano da neuroni il cui corpo cellulare è situato nel midollo spinale formano i nervi periferici. Come potete immaginare si tratta di strutture anatomiche anche di una certa lunghezza.
L’apprendimento, la memoria e tutte le altre funzioni cerebrali sono rese possibili dalle sinapsi. Più queste sono numerose e maggiormente interconnessi sono i neuroni, più le funzioni nervose sono sviluppate.
La ricerca ha evidenziato come durante la fase di veglia le sinapsi rafforzano e irrobustiscono la loro struttura, prendendo contatto attraverso una superficie maggiore ed emettendo onde di attività più intense. Durante il sonno si osserva un loro indebolimento, una superficie di contatto ridotta ed un’emissione di onde meno intensa.
In laboratorio si riesce chiaramente a ricreare il fenomeno che si realizza in vivo. Stimolando una sinapsi, si osserva la sua risposta di accrescimento. Dopo avere rimosso lo stimolo la sinapsi perde parte dello sviluppo che aveva acquisito. Il fenomeno di indebolimento è più marcato a livello delle sinapsi più piccole, mentre quelle di maggiori dimensioni rimangono pressoché inalterate. Questo significa che il depotenziamento è un processo intelligente e selettivo: alcune sinapsi vengono risparmiate perché sede di segnali indispensabili, che il cervello sa di non poter perdere.
Perché mai dovremmo dimenticare ciò che faticosamente abbiamo acquisito da svegli? Sembra che il sonno abbia un ruolo normalizzatore sull’attività sinaptica. E’ come se ristabilisse un equilibrio (omeostasi sinaptica) dopo il frastuono della giornata, per consentire alle sinapsi di godersi qualche ora di tranquillità. Il prezzo che il cervello deve pagare è la perdita di alcuni dati, svantaggio che esso minimizza agendo in maniera mirata su collegamenti non strategici.
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