Il science blogging permette ai cittadini di comprendere la scienza, capirne le ragioni ed essere coinvolti nelle sue dinamiche.
Quando ho dato vita a questo science blog ero animata da grande entusiasmo, lo stesso che mi spinge ad occuparmi di scienza ogni giorno. Avevo in mente grandi idee e nobili principi, che continuano a farmi da incentivo. Il primo obiettivo irrinunciabile era quello che WELLNESS4GOOD fosse utile, che potesse servire a uno scopo. Che fosse un mezzo per parlare di scienza a tutti, per divulgare concetti che, senza la comunicazione scientifica, sarebbero poco più che leziosi teoremi. Ho sempre cercato di oppormi alla vena di snobbismo che ha contraddistinto per decenni il mondo della scienza. Che non è affatto appannaggio di pochi eletti, ma patrimonio della collettività. Ogni scoperta, ogni passo avanti della ricerca è nulla se non serve a qualcosa. Anche quando si tratta di un passo falso, si deve fare in modo che abbia una funzione: per esempio quella di segnalare che il percorso che si sta seguendo è sbagliato e che è necessario correggere la rotta.
La scienza deve parlare a tutti, utilizzare un linguaggio universale per essere compresa da tutti, perché se rimane chiusa nei laboratori, se gli studiosi se ne stanno arroccati nei loro atenei, se si accentua la frattura già esistente fra quel mondo ed il mondo “reale”, quello in cui tutti noi viviamo, la scienza perde il suo ruolo sociale e, con esso, la sua stessa ragione di esistenza.
Per questo ho deciso di scrivere in maniera tale da contribuire, nel mio piccolo, al riavvicinamento fra le varie parti coinvolte nel progresso scientifico. La popolazione, tutti noi siamo una di queste parti, forse la più importante, perché quella che, fruendo dei benefici da esso prodotti, ne determina il successo o il fallimento.
In virtù a questo must ho deciso che ogni post di WELLNESS4GOOD fosse costruito in maniera tale da contenere tutti gli strumenti necessari per la sua comprensione. Il nostro lettore può aprire un qualunque articolo, anche senza alcuna preparazione scientifica, e comprenderne i contenuti.
Il fatto che la scienza sia patrimonio comune non sembra essere un concetto ancora molto condiviso. Le inutili complicazioni che per anni hanno caratterizzato la comunicazione in ambito scientifico sono state deleterie e fra le maggiori responsabili della disaffezione, quando non addirittura del risentimento, dei cittadini nei confronti di una disciplina per la quale avrebbero tutto l’interesse a provare simpatia. Che ragione ha la popolazione, in condizioni normali, ad avercela con coloro che lavorano ogni giorno (spesso sottopagati) per trovare una terapia ai tumori? Rilancio: che ragione ha di accanirsi contro i vaccini, che sono fra i farmaci meno costosi e più efficaci, forse il presidio medico che ha consentito di raggiungere i risultati più straordinari in termini di salute pubblica. Non ci sarebbe alcun motivo logico per metterli in discussione. Eppure sta succedendo, e con ripercussioni rischiose sulla nostra salute. Il fatto è che le polemiche contro i vaccini sono il risultato di un’attenta (e purtroppo anche efficace) strategia di strumentalizzazione di un’insofferenza reale della popolazione. Le persone si sono allontanate dalla scienza e questa, anziché domandarsene la ragione, le ha snobbate. Ha pensato che fosse normale che una massa di cittadini scientificamente analfabeti fosse un’inutile zavorra e, anziché scegliere di educarla la ha abbandonata.
Posizionare i principi scientifici su un piedistallo sotto il quale siamo tutti prostrati in passiva adorazione non serve a nessuno, men che meno alla scienza stessa. Gli studiosi hanno bisogno di sentirsi appoggiati dalla cittadinanza, beneficiano più di quanto non si creda del sostegno dell’opinione pubblica. Pensate a tutte le questioni bioetiche che coinvolgono la scienza. Mi riferisco al testamento biologico, al fine vita, all’impiego delle cellule staminali, alla diffusione dell’intelligenza artificiale in medicina e a come normalizzarla, all’irruzione del digitale in Sanità, che ha definitivamente cambiato i rapporti fra medico e paziente.
Esistono dei fenomeni che caratterizzano il mondo scientifico che non possono essere banalmente intuiti dai cittadini, ma che richiedono spiegazioni. Per esempio la questione dei tempi infiniti necessari per approvare un farmaco, il motivo per cui non si è ancora trovata una cura per l’Alzheimer, nonostante decenni di costosi e deludenti tentativi, perché un passo avanti nella ricerca non significa un beneficio immediato per i malati. Se questi concetti non vengono chiariti, si rischia di perdere credibilità.
Come crediamo si possano gestire queste delicatissime fasi di transizione verso una modernità equa e rispettosa della persona, se non con l’accordo di tutte le parti in gioco?
L’apertura che io mi aspetto da questa disciplina, nella sua globalità, non riguarda solo la comunicazione (oggi imprescindibile trait d’union fra cittadinanza e accademia), ma anche gli scopi. Viviamo urgenze che non possono aspettare: inutile elucubrare, elaborare sofismi filosofici in un mondo che manifesta priorità assolute come la lotta al cancro, la questione dell’accesso ai farmaci innovativi. Un mondo nel quale le idee viaggiano a velocità supersonica e la loro traslazione al paziente sui treni a vapore. Abbiamo necessità di soluzioni pratiche, concrete, per fare fronte ai problemi reali di oggi.
Capite quindi perché insisto sempre sul concetto di technology transfer, cioè di quella serie di passaggi grazie ai quali i risultati della ricerca vengono traslati al consumatore, diventano prodotto industrializzabile e si diffondono nell’uso comune.
E’ vero, come sostiene il professor Roberto Burioni, grande immunologo da anni impegnato in una dura e ammirevole battaglia in difesa dei vaccini, che solo chi ha titoli può esprimere un’opinione professionale. Tuttavia essere informati in maniera precisa ed affidabile, ottenere risposte ai propri interrogativi, anche quando sono elementari e basati su archetipi collettivi e paure ancestrali, è un diritto di tutti.