Buongiorno, cari Amici. Parliamo spesso, tutti, e a buon diritto, delle fonti energetiche alternative. Conosciamo i campi eolici e leggiamo sui giornali con cadenza quasi quotidiana delle opportunità di espansione che ha questo tipo di settore. Abbiamo tutti in mente il solare, sia termico sia fotovoltaico, e come potremmo non avercelo, data l’estate quasi perenne che caratterizza molte delle nostre regioni più meridionali? Ma, come rendere più accessibili in termini di costi queste tecnologie, è una questione ancora aperta.

Recentemente, tuttavia, è stato compiuto un grosso passo avanti in questa direzione. Un gruppo di ricercatori italiani è protagonista di questa svolta. Insieme a loro, il grafene, un materiale straordinario, al centro delle speculazioni della comunità scientifica e tecnologica da anni. Le sue incredibili proprietà elettriche, termiche e meccaniche, rendono legittimo immaginare i più svariati impieghi industriali. Già nel 2010 fu il soggetto degli studi che portarono alla conquista del premio Nobel per la Fisica.

Il grafene è un materiale costituito da uno strato monoatomico di carbonio, ordinato secondo una struttura a nido d’ape, caratteristica che permette di definirlo “bidimensionale”. Parliamo quindi di nanotecnologia. Possiede una resistenza meccanica pari a 100 volte quella dell’acciaio, associata ad una flessibilità tipica delle materie plastiche. Le sue ottime caratteristiche di conduzione, hanno fatto fiorire gli studi per la produzione di semiconduttori.

La ricerca di cui ho il piacere di parlare in questo post, porta i nomi di Francesco Bonaccorso (Istituto Italiano di tecnologia, IIT) e Aldo Di Carlo (Università Tor Vergata di Roma). I suoi risultati (pubblicati sulla rivista “Nanoscale”) hanno portato alla produzione di un prototipo di pannello solare fotovoltaico (50 centimetri quadrati) in grafene. Semi-trasparente e a basso costo, questo modello apre prospettive estremamente interessanti nella direzione della produzione di finestre “intelligenti”, capaci di generare energia a partire dalla luce solare che li colpisce, senza tuttavia bloccarla, come avviene nei pannelli oggi utilizzati.

Pensate a cosa potrebbe significare avere nelle nostre case (in questo caso, smarthomes) degli infissi che generano energia elettrica!

A rendere dispendiosa la fabbricazione dei pannelli tradizionali è il platino, sostituito in questo prototipo da inchiostro di grafene, applicato mediante verniciatura a spruzzo. L’innovazione, applicata sulla dimensione industriale, consentirebbe di piallare i costi, mantenendo rese confrontabili. Oltretutto, si inserirebbe nei processi produttivi senza praticamente richiedere nuovi investimenti in termini di adeguamento. Per queste ragioni, il prodotto è candidato alla diffusione su vasta scala.

Estendendo il nostro campo di osservazione, possiamo inquadrare meglio la questione del grafene e delle sue potenzialità. Risale a poche settimane fa, la pubblicazione di uno studio dell’Ocean University of China, sul comportamento di un pannello della nostra versatile risorsa in presenza di pioggia. I ricercatori cinesi ne hanno rivestito un supporto, esponendolo successivamente all’azione di acqua leggermente salata. Questo perché la pioggia non è demineralizzata, ma contiene ioni. Quando l’acqua fluisce sul pannello, accade che i suoi ioni positivi (Sodio, Calcio e Ammonio) si legano a quelli negativi del grafene, creando una sorta di condensatore. La differenza di potenziale fra i due strati (acqua e grafene) è in grado di creare un flusso di elettroni. Questo significa che potrebbe essere possibile generare energia elettrica grazie alla pioggia. Il sistema presenta ancora un’efficienza bassa (6-7%), tuttavia promette bene per il futuro.

Torniamo in Italia per raccontare della pubblicazione su “Nature Communications” (vi rimando sotto per il link) di una collaborazione fra Politecnico di Milano e CNR, che ha portato alla produzione di nanoribbons (nastri sottilissimi) di grafene, che presentano proprietà ottiche estremamente interessanti, applicabili nella produzione di LED, laser, celle solari. In seguito ad eccitazione con impulsi laser, e sulla base di un fenomeno quantistico, i ribbons emettono luce, attraverso un processo ad elevata efficienza.

La sintesi delle tecnologie citate sopra, potrebbe condurre alla produzione di lenti a contatto capaci di vedere al buio, protesi superleggere, disinfettanti ospedalieri e molto altro.

Tutte queste iniziative rientrano nell’ambito di Graphene Flagship, progetto sponsorizzato dalla Commissione Europea con investimenti per un miliardo di euro e il cui obiettivo è quello di consentire il passaggio di questo straordinario materiale dai laboratori alle realtà industriali. Si tratta della ricerca europea più grande di sempre, per budget e numero degli enti partecipanti. Ultimo ma non meno importante, per capacità di innovazione.