Il Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), tenutosi in questi giorni a Copenhagen, ha concentrato l’attenzione degli studiosi su uno dei punti fondamentali che già ESC (il più importante appuntamento mondiale della medicina oncologica) aveva stabilito, l’immunoterapia del tumore.

L’immunooncologia si basa sulla possibilità di sfruttare le difese immunitarie del paziente, allenandole a reagire contro le cellule tumorali. Si tratta dell’ultima frontiera (in ordine di tempo) della lotta al cancro. L’instancabile promotore della Cancer Moonshot, l’iniziativa statunitense di finanziamento straordinario della ricerca sui tumori, il Vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha ribadito più volte l’importanza di portare avanti le ricerche in questo ambito, promettente e innovativo. Questo anche sulla base della disponibilità attuale di sistemi per la gestione dei Big Data, essenziali allo sviluppo della Medicina di Precisione, l’intervento personalizzato su ogni paziente, per la cura del suo particolare tipo di malattia.

Le cellule tumorali crescono e si moltiplicano all’interno del corpo perché riescono a sfuggire alla guardia del sistema immunitario. In condizioni normali, molecole e cellule deputate al riconoscimento dei “nemici”, si attivano in presenza di sostanze o cellule che non appartengono all’organismo, esattamente come avviene con virus e batteri.

Ma, in questo caso, le cellule del tumore adottano un travestimento, che consente loro di passare inosservate, non suscitando l’attenzione delle sentinelle. Si tratta di una proteina di membrana, la PD-L1, che deprime il sistema immunitario, riducendone l’efficacia.

Keytruda (nome commerciale del pembrolizumab) è un anticorpo monoclonale che smaschera le cellule tumorali, rendendole palesi al sistema immunitario, il quale le riconosce come nemiche e le attacca, uccidendole. Si tratta di un inibitore del checkpoint, che agisce bloccando la proteina PD-L1, la risorsa vincente del cancro.

Una sperimentazione condotta presso il Westmed Hospital di Sidney (Australia) ha trattato con pembrolizumab un gruppo di pazienti con tumore ai polmoni sui quali la chemioterapia tradizionale non aveva dato risultati o aveva smesso di darne. A distanza di 12 mesi i ricercatori hanno osservato che Keytruda ha bloccato la diffusione del tumore nei polmoni del 50% dei malati. Un risultato tre volte più efficace della chemioterapia tradizionale.

Tutti questi dati, presentati a ESMO 2016, fanno ben sperare per il futuro della terapia del cancro al polmone, che rimane il Big Killer per eccellenza, il tumore che uccide di più.