L’innovazione amplifica il costo del farmaco, ma l’equità espressa da una società passa anche attraverso l’accesso alle cure.

Negli ultimi anni il prezzo dei farmaci è notevolmente aumentato, per ragioni diverse, spesso con andamento inspiegabile con gli strumenti economici, fino a sfuggire (in certi contesti, come quello americano) a qualsiasi controllo. Il mondo scientifico si è con regolarità interrogato sulla questione, attribuendole spiegazioni che, in ultima analisi, responsabilizzano le autorità regolatorie. Fondamentale, da questo punto di vista, l’articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine nel maggio dello scorso anno. I prodotti che hanno risentito in maniera più evidente di questi drammatici picchi sono gli innovativi, quelli di ultima generazione. Quelli che più facilmente possono giustificare (a torto o a ragione) costi maggiori di ricerca e sviluppo e i cui consumi hanno registrato un boom negli ultimi due anni.

Un esempio sopra tutti è rappresentato dalla nostra “vecchia” conoscenza Sovaldi, l’amato e odiato sofosbuvir della terapia per epatite C. Il suo costo elevatissimo è un problema che sta mettendo a dura prova la sostenibilità di tutti i governi del mondo occidentale, che stanno tamponando la situazione offrendo il farmaco solo alle persone con la malattia in fase avanzata, quelle che, per ovvie ragioni, ne hanno più necessità. Il problema è che è molto facile che un certo numero di casi cui è vietato l’accesso alla terapia configurino quadri di restrizione discriminatoria ma non evidence based: pura ingiustizia, insomma. In Italia il sofosbuvir è stato concesso in uso compassionevole ai pazienti subito dopo l’approvazione, mentre ancora erano in atto le discussioni per stabilire prezzo e regime di rimborsabilità. In sede di negoziazione l’ex DG dell’Agenzia del farmaco (AIFA) ha ottenuto il prezzo più basso d’Europa, 37.000 euro a paziente. Risultato reso possibile anche dal fatto che nel nostro Paese il numero dei malati di epatite C è relativamente alto rispetto ad altre nazioni europee e questo gli attribuisce connotazione di mercato appetibile. La recente manovra di bilancio ha determinato la creazione di un fondo per i farmaci innovativi per epatite C pari a 500 milioni.

Nel 2015 per la prima volta la spesa farmaceutica complessiva per i farmaci ospedalieri (pari a 10 miliardi – fonte SIFO) ha superato quella convenzionata delle farmacie al pubblico (8,5 miliardi). Ciò che ha spostato l’ago della bilancia in maniera drammatica è stata la dispensazione dei farmaci per la terapia dell’epatite C, che avviene in ospedale. Il sofosbuvir è costato nel 2015 al servizio sanitario 1 miliardo 722 milioni, il 7,8% della spesa del SSN.

Ma Sovaldi non è l’unico caso di medicinale costosissimo. Purtroppo. Il prezzo della pirimetamina (commercializzata con il nome di Daraprim), farmaco per il trattamento delle infezioni opportunistiche nei pazienti affetti da AIDS è cresciuto negli Stati Uniti da 13,50 a 750 dollari a compressa nell’arco di poche ore, lasciando tutti a bocca aperta. Mentre imatinib (Glevec), inibitore della crescita tumorale, è passato nel 2016 a 120.000 dollari all’anno per trattamento. Altri farmaci molto “pesanti” per il servizio sanitario italiano sono gli immunomodulatori, usati nella terapia delle patologie autoimmunitarie (come la Sclerosi Multipla, il morbo di Crohn e l’artrite reumatoide) e gli antidiabetici, a causa del fatto che curano una patologia con incidenza in continuo aumento.

Ma l’entità maggiore è rappresentata dalla spesa per gli oncologici, nel 2015 salita a 2 miliardi e 372 milioni di euro.

Negli Stati Uniti il sistema sanitario scarica gran parte della spesa dei farmaci innovativi sulle spalle dei cittadini (si chiama modalità out of pocket). Per questo si creano situazioni paradossali in cui il malato di cancro deve indebitarsi per potersi curare. A volte le cose vanno tanto male che il paziente dichiara bancarotta, fallisce.

Accesso alle terapie, equità e sostenibilità diventano un problema. Come possiamo accettare che l’accesso ai farmaci salvavita rappresenti proprio il punto in cui è l’ingiustizia a fare da padrona?

Le industrie giustificano le cifre astronomiche a cui vendono i loro prodotti con gli ingenti investimenti che devono sostenere nel processo di ricerca e sviluppo. Ma è anche vero che non tutto quello che viene fatto passare per innovazione (e quindi costoso) lo è veramente.

Inoltre big pharma asserisce che il mercato è in continua evoluzione e che farmaci oggi innovativi potrebbero diventare obsoleti fra due anni, non consentendo all’azienda di recuperare neppure i costi.

Spesso poi le aziende coprono i costi legati al fallimento di una molecola con i ricavi di un composto più fortunato, innalzandone il prezzo, con la certezza di venderlo comunque per l’assenza di concorrenti sul mercato.

Come si stabilisce il prezzo di un farmaco (drug pricing)? In fase di formazione del prezzo di un medicinale si può procedere seguendo due modalità:

  • si possono considerare i costi sostenuti dall’azienda in tutte le fasi di ricerca, sviluppo e produzione: questo è un criterio superato, che richiedeva addirittura la sommatoria delle varie componenti di spesa, cosa oggi impensabile da realizzare,  anche, ma non solo, perché le aziende non sono così propense a dichiarare queste cifre
  • meglio basarsi su efficacia e sicurezza del farmaco: criterio più moderno.

E’ chiaro che stabilire questioni così importanti come il prezzo di prodotti che incideranno in maniera pesante sui bilanci dei singoli Stati e sugli aspetti etici e sociali dei loro governi deve avere una dimensione europea. Non ha senso che operazioni che potrebbero beneficiare dei vantaggi nella gestione dei big data e del networking fra le expertise dei singoli Paesi mantengano una prospettiva locale.

Anche Emilia De Blasi, Presidente della Commissione Igiene e Sanità in Senato ha insistito su questo concetto: “L’Europa dovrebbe stabilire un tetto per limitare i prezzi altissimi dei farmaci innovativi, perché c’è un tema etico: il farmaco cura”.

Difficile applicare protocolli così generali, quando all’interno dello stesso territorio italiano le regioni gestiscono ognuna il proprio servizio sanitario… Ponendo anche di poter raggiungere il prezzo europeo, resterebbe comunque da capire come calcolarlo. La media dei prezzi dei singoli Paesi potrebbe non essere indicativa, dal momento che non tiene conto degli scostamenti. In più la media non sarebbe un criterio applicabile nel caso dei farmaci innovativi. Per avere il prezzo per ogni Stato al fine di poter calcolare la media è necessario del tempo, che, nel caso degli innovativi, non è disponibile. In ultima analisi, i principi attorno ai quali ruota la nostra politica farmaco-economica sono pochi e precisi.

Occorre sempre effettuare una valutazione costo-efficacia: analizzare la verosimiglianza del costo in rapporto a quanto il farmaco funziona per curare quella determinata malattia. Ci si deve domandare se quel medicinale è veramente innovativo. A questo proposito AIFA monitora e valuta costantemente i profili rischio-benefici e beneficio-prezzo dei farmaci e la sua Commissione Tecnico-scientifica aggiorna periodicamente la lista di farmaci effettivamente riconosciuti come innovativi. In particolare, per gli oncologici, vengono fatte speciali valutazioni farmaco economiche.

La valutazione non può prescindere dalle prove scientifiche che accompagnano le fasi sperimentali del farmaco: deve essere cioè evidence based, basata sulle prove.

Ci deve essere più trasparenza nella verifica dei costi sostenuti realmente dalle industrie farmaceutiche per ricerca e sviluppo.

Farmaci con requisiti simili devono poter essere acquistati dal sistema sanitario a prezzi uguali.

In generale, è necessario procedere fornendo farmaci molto costosi, laddove non si possa estendere a tutti i pazienti l’accesso alle cure, per priorità.

Il farmaco non è un comune prodotto che esce da una fabbrica e arriva al consumatore: ha bisogno di un mercato tutelato. L’equità espressa da una società passa anche attraverso la gestione corretta della sua regolazione.