I superagers sono anziani con la memoria dei ventenni: studiarli ci permette di capire come prevenire la perdita della memoria.

Perdere la memoria non sarebbe il prezzo da pagare per avere raggiunto una veneranda età. Questa la conclusione di una serie di studi americani sull’invecchiamento dei neuroni. Una èquipe di studiosi di Harvard University e Massachussets General Hospital ha preso in esame un gruppo di persone di età compresa fra 60 e 70 anni. Questi sono risultati capaci di memorizzare contenuti come gli appartenenti al campione di giovani adulti fra i 18 ed i 32 anni con cui sono stati paragonati. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Journal of Neuroscience (qui vi indico il link).

Afferma Alexandra Touroutoglou, neurologo a Harvard Medical School senior author dello studio:

Non c’era differenza nello spessore delle aree cerebrali considerate fra superagers e giovani adulti.

Dato confermato da ulteriori ricerche che sono apparse su JAMA qualche giorni fa (qui potete trovare il link all’articolo). In questo caso gli scienziati si sono domandati se l’osservazione di un cervello di dimensioni superiori nei superagers avesse a che fare con una condizione presente fin dalla nascita o si trattasse di una riduzione della perdita di tessuto nervoso. E hanno concluso per la seconda ipotesi.

Superagers è un termine coniato dal neurologo Marsel Mesulam, del gruppo di ricerca della Northwestern University di Chicago, che ha effettuato lo studio primitivo in materia. Da quel momento la scienza se ne è interessata con particolare passione, date le possibili ripercussioni sulla comprensione di malattie come l’Alzheimer.

Ma vediamo cosa gli studi hanno evidenziato e come. La risonanza magnetica svela chiaramente la differenza fra il cervello di un anziano “normale” e quello di un superager. Le aree coinvolte nell’immagazzinamento delle informazioni e nella conservazione dei ricordi (insula anteriore, corteccia orbito-frontale e ippocampo) sono nel primo caso ridotte e nel secondo ancora trofiche (cioè sviluppate).

 

LA VECCHIAIA NON IMPLICA AUTOMATICAMENTE LA PERDITA DELLA MEMORIA

L’importanza di questi studi può essere riassunta in tre conclusioni fondamentali.

LA PERDITA DI MEMORIA NON E’ INEVITABILE

La convinzione generale, fino ad oggi, era che l’atrofia del tessuto cerebrale fosse una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento e che prendesse piede già dopo i 50 anni. Ma, grazie a questi studi, i ricercatori potrebbero avere rimosso l’etichetta di “inevitabile” comunemente associata alla perdita di memoria nell’anziano.

Possiamo fare, quindi, di un anziano “normale” un superager?

E’ una condizione dettata da parametri genetici sui quali (per ora) non è possibile intervenire oppure è possibile influenzare la curva che descrive il declino delle capacità cognitive?

Superagers si nasce o si diventa?

Gli studiosi non hanno ancora trovato risposta a queste domande. Ciò che diamo per certo è che lo stile di vita conta. Il fumo e alti livelli di colesterolo accelerano l’invecchiamento del cervello.

 

L’OBIETTIVO E’ SVILUPPARE LA NATURALE RESILIENZA DEL CERVELLO

Studiando i superagers possiamo capire se esistono sistemi in grado di sviluppare una forma di resilienza nei confronti dell’invecchiamento cellulare e quindi delle malattie neurodegenerative. Questo potrebbe essere un settore destinato a polarizzare l’attenzione delle life sciences.

 

IL CERVELLO E’ DIVERSO DA COME CREDEVAMO FOSSE

Questi studi hanno messo in discussione l’architettura funzionale stratificata del cervello. Uno degli aspetti più coinvolgenti di queste ricerche è quello di avere infranto un convincimento della neurologia. Finora gli strati del cervello rappresentavano sia unità anatomiche che funzionali. Il nostro cervello dispone di tre strati sovrapposti:

  1. cervello di rettile: è il nucleo interno e rappresenta l’area più antica, quella che ereditiamo dai rettili. E’ il punto di partenza della nostra evoluzione più recente e sovrintende alle funzioni della sopravvivenza. Istinto puro, insomma;
  2. cervello di mammifero: è lo strato intermedio, quello che sovrintende alle emozioni. E’ caratteristico dei mammiferi e coincide con il sistema limbico;
  3. cervello di neo-mammifero: è il livello più esterno, il più nobile e sofisticato. E’ la sede del pensiero razionale, tipico dell’uomo e coincide con la corteccia cerebrale.

Leggi qui l’approfondimento su come la scienza sta cercando di rallentare l’invecchiamento delle cellule.

Pur essendo questa una chiave di lettura ritenuta valida per decenni e attualmente relativamente ancora in voga, questa teoria è stata confutata dalle recenti acquisizioni. In base a queste, infatti, i neurologi sostengono che:

  • il nostro sistema nervoso centrale non si è evoluto a strati, come invece sedimentano le rocce
  • il sistema limbico non è banalmente solo sede dei circuiti emozionali, ma ha un ruolo centrale nella comunicazione fra le varie aree dell’encefalo. Sarebbe, infatti, responsabile del linguaggio, dello stress management, della regolazione degli organi interni e della coordinazione dei sensi.

 

LE EMOZIONI FANNO LA DIFFERENZA

Proprio il maggiore o minore sviluppo del sistema limbico farebbe la differenza fra un normale anziano ed un superager. Ecco perché mantenere un cervello allenato, dedicarsi alla cura delle relazioni sociali e non rinunciare agli interessi culturali sarebbero alla base della protezione della memoria.

Questo è un concetto noto da anni, ma che finora non aveva trovato spiegazione scientifica.

 

NON FERMARSI MAI

Oggi sappiamo anche che trascorrere sereni pomeriggi in compagnia dell’enigmistica non è sufficiente. Proprio come avviene con lo sport, perché funzioni dobbiamo avvertire lo sforzo, sentire “dolore”, ossia la fatica della nostra mente impegnata in un compito arduo.

Il conflitto con quanto suggerirebbe il buonsenso è stridente. Le persone mature vengono normalmente tenute al riparo da sforzi mentali, esperienze nuove ed elucubrazioni, ma questo sembrerebbe un atteggiamento controproducente.