Umberto Veronesi ha intuito l’importanza della divulgazione scientifica, veicolo fondamentale per diffondere la cultura della prevenzione e della consapevolezza nella società.

Ieri è morto Umberto Veronesi.

Attraverso il  blog di WELLNESS4GOOD, che racconta quotidianamente dell’impatto dell’innovazione nella salute, voglio fermarmi qualche minuto per ricordarlo.

Il primo sentimento che è sopraggiunto in me è quello della tristezza. Profonda ed intensa. Ieri sera, nell’apprendere la notizia, ho avvertito il vuoto per avere perso un uomo di grande valore sociale, di spessore umano. Uno studioso di enorme talento, che ha scritto la storia della scienza.

Successivamente, ho ripensato alle grandi conquiste che gli dobbiamo, e lo dico, in particolare, da donna e da donna che si occupa di scienza. I percorsi da lui intrapresi, le intuizioni, le scommesse sulla realizzazione di realtà rivoluzionarie, le scelte rischiose.

Abbiamo così tante ragioni per essergli grati: pazienti, divulgatori, politici, ricercatori, clinici. Lui, che è stato l’innovatore per eccellenza, che ha aperto infinite strade e di ciascuna ha guidato lo sviluppo, la fioritura, la crescita.

E’ stato un riferimento, un esempio, un leader. Una figura anomala nel panorama scientifico, nel quale il concetto di leadership snobba categoricamente quello aziendale. Incredibilmente aperto, ma fermo, irremovibile sui punti fondamentali: destinato al successo.

Il suo successo è partito dal suo ingresso da neolaureato nel 1950 all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che ha fatto crescere fino a trasformarlo in un centro di ricerca quotato a livello internazionale. In un’epoca in cui il cancro era per definizione un “male incurabile”, un ambito all’interno del quale era difficile immaginare prospettive di sviluppo della terapia. Come capita a quelli “avanti”, ai visionari, lui ha saputo immaginare un futuro dove altri vedevano il nulla.

Ha capito, sul modello americano, che il tumore si poteva battere solo in squadra. Con Gianni Bonadonna e Pietro Bucalossi ha dato vita ad un’équipe che ha rivoluzionato la terapia del cancro. La medicina italiana era quella dei grandi nomi, delle primedonne, fenomeno che lui ha contribuito a ridimensionare, instillando nel pensiero scientifico la consapevolezza che solo attraverso la collaborazione di un gruppo sinergico sarebbe stato possibile curare il tumore. Concetto più che mai moderno, in un’epoca come la nostra, nella quale proponiamo l’approccio multidisciplinare in oncologia.

E’ stato il primo a proporre, contrariamente alla tendenza demolitiva di quei tempi, il principio della chirurgia conservativa. Straordinaria la sua capacità di pensare a preservare il corpo delle donne dalle amputazioni estese della chirurgia oncologica, attraverso la quadrantectomia, l’intervento che rimuove la sola porzione di mammella affetta dal tumore. Eccezionale la sua attitudine ad entrare in empatia con il paziente, a capirne le esigenze, a comprendere la psicologia deformata dalla malattia, dal dolore fisico e mentale protratto, dalla paura della morte. Lui, che, nella sua visione atea, non la temeva. Personalità forte, la sua, ma alchemizzata con una rara sensibilità.

Sua fu l’idea di introdurre la terapia adiuvante per il carcinoma mammario (che fece scuola anche in America), ossia la terapia farmacologica prescritta alle pazienti successivamente all’intervento chirurgico.

Riconobbe le caratteristiche predittive del linfonodo sentinella, significative dell’andamento della malattia.

E il ruolo determinante della prevenzione, della transizione verso uno stile di vita più corretto, più bilanciato e rispettoso delle reali esigenze del proprio organismo. In questo senso anche il primo a battersi per l’imposizione del divieto di fumo nei locali pubblici.

Fu il primo ad attribuire valore strategico alla ricerca. Sosteneva che gli ospedali in cui le persone vengono curate meglio sono in cui si svolgono attività intense di ricerca. Sulla base di questa sua convinzione si è battuto per la creazione degli IRCCS. E fondò l’Istituto Europeo di Oncologia nel 1994, altro ambito di eccellenza nella ricerca oncologica.

E’ stato un uomo di scienza libero, aperto al confronto, al dialogo: mai persa la pazienza di fronte ad un interlocutore ottuso. Un vero comunicatore.

Il primo, non a caso, ad intuire l’importanza della divulgazione scientifica, veicolo fondamentale per diffondere la cultura della prevenzione e della consapevolezza. Il paziente deve conoscere la propria malattia, il proprio stato di salute, esserne informato e partecipare alla cura. Engagement in piena regola.

Ha lasciato un vuoto difficilmente colmabile, ma anche una grande eredità scientifica ed umana. Quello che possiamo fare ora è concentrarci su questa.