La medicina di precisione fornisce al paziente il trattamento giusto, per la malattia giusta al momento giusto. Ma cosa è veramente innovazione?
Detto così sembrerebbe piuttosto banale, un concetto che non sarebbe neppure necessario sottolineare. Eppure la medicina di precisione è un concetto relativamente recente, che implica sforzi notevoli, in termini di costi e di energie profuse, sia in laboratorio sia in clinica, sia, in particolare, nel passaggio intermedio fra queste due realtà nell’immaginario collettivo vicine, ma nella contestualizzazione del mondo sanitario, estremamente lontane. E’ come un vestito cucito addosso al cliente, che veste le sue misure e forme.
Sono due le prerogative che hanno consentito agli studiosi di implementare la filosofia della personalizzazione in medicina.
La prima è rappresentata dai notevoli progressi effettuati negli ultimi anni dalla genetica. E’ del 2000 il completamento del sequenziamento del genoma umano sano. Da allora la scienza del DNA ha compiuto passi da gigante. Ormai l’utilizzo di kit per l’analisi di tratti dei nostri acidi nucleici è cosa diffusa. Disponiamo di tecniche straordinariamente semplici, veloci ed economiche per poter modificare il DNA. Il CRISPR è talmente fascinoso da avere ispirato la sceneggiatura di un film di Hollywood in produzione.
La seconda si rifà agli avanzamenti della tecnologia digitale, se possibile ancora più sorprendenti. Il Big Data management ci permette la gestione smart di tonnellate di informazioni.
La sintesi fra questi due potenti strumenti, la loro possibilità di interazione crea dei frameworks che superano in capacità la somma delle due componenti. Il management dei profili genetici di pazienti e malattie è la condizione necessaria perché la medicina personalizzata possa avere luogo.
Quando la malattia si chiama tumore questa sinergia assume una dimensione particolarmente estesa, nell’ottica di trovare nuove e più efficaci cure.
La personalizzazione dell’approccio al cancro è funzionale alla comprensione di una malattia che manifesta un’incredibile variabilità. La cellula tumorale funziona attraverso meccanismi molto complessi che le consentono la sopravvivenza in ambiente ostile e non ha più nulla delle caratteristiche paradigmatiche di quella sana.
Esprime sulla faccia esterna della membrana cellulare molecole che mascherano le sue origini neoplastiche, in maniera da sfuggire al controllo del sistema immunitario.
Modifica il DNA per esprimere geni (oncogeni) che stimolano la replicazione cellulare e la formazione di nuovi vasi (angiogenesi) e sopprimono i fattori di controllo della crescita. A causa dell’interazione con il codice genetico il tessuto tumorale va incontro ad una crescita disordinata, in numero, dimensioni e forma. L’angiogenesi, garantendo l’aumento del flusso sanguigno, permette al tumore di superare uno dei suoi pochi punti deboli, la sofferenza in carenza di ossigeno.
Per potere dare luogo a metastasi la cellula neoplastica:
- annulla i fattori di adesione, che la mantengono saldamente connessa alle circostanti
- attraversa gli strati del tessuto che la ospita dopo essersi creata dei varchi
- esprime speciali fattori sulla superficie esterna, che le consentono di effettuare movimenti disorganizzati
- perde l’inibizione da contatto, cioè l’interruzione della crescita che si verifica quando una cellula tocca quella attigua.
Nonostante le sue dimensioni siano superiori a quelle delle cellule sane, a causa delle alterazioni che induce nel metabolismo, non ha maggiore richiesta di fattori nutritivi e quindi può sopravvivere anche in condizioni incompatibili con la vita delle cellule sane.
Il tumore è un’entità in continua evoluzione. La biopsia effettuata per esaminarne la natura e stabilire la cura è, in realtà, una fotografia istantanea del microambiente tumorale.
Tutti questi fattori di variabilità non sono solo funzione del tempo, ma anche del singolo individuo.
Ha allora un senso radunare esperti in panels internazionali per stabilire linee guida che indirizzino su criteri diagnostici e protocolli di terapia universalmente validi? Ha ancora un significato aderire agli schematismi dei vecchi insegnamenti accademici?
Ovviamente no. All’inizio dell’anno gli Stati Uniti hanno lanciato la Cancer Moonshot Initiative, progetto per dare impulso alla ricerca sulla terapia del tumore. A patrocinare l’iniziativa il Vicepresidente Joe Biden, il migliore fra i possibili candidati a farlo. Biden ha perso il figlio Beau a causa di un tumore al cervello, che lo ha ucciso all’età di 46 anni. La reazione all’immensa sofferenza emotiva e la sua naturale grandezza d’animo gli hanno permesso di imprimere notevole slancio al progetto. Fin dall’inizio ha sempre sottolineato il ruolo centrale dei Big Data in genetica e spinto il mondo alla digitalizzazione.
Fondamentale apporto alla diagnosi del cancro è costituito dai biomarcatori, sostanze che possono essere presenti nel sangue anche in condizioni fisiologiche, ma che, in caso di tumore, aumentano significativamente la loro concentrazione nel sangue. Ne esistono alcuni aspecifici (come CEA, che può essere associato al tumore del colon o del seno), ma anche molti estremamente specifici (è il caso del PSA per la prostata). Non si tratta di parametri univoci, perché spesso i loro valori possono risultare alterati anche in assenza di tumore.
Cercando di focalizzare l’attenzione sullo stato dell’arte, è legittimo domandarsi se l’approccio personalizzato sia diffuso o limitato a pochi casi privilegiati. In generale, perché si possa applicare la medicina di precisione, è necessario che per quel dato tipo di neoplasia, siano disponibili un biomarcatore, un test diagnostico ed un farmaco. Per darvi un’idea della fattibilità, nel caso del tumore al polmone, si parla di un 10% della popolazione colpita.
Ancora poco, troppo poco per soddisfare le nostre ambiziose aspettative, la necessità urgente dei pazienti di avere una cura per le proprie sofferenze. Poco rispetto al clamore delle notizie che affollano il web: cure miracolose, interventi chirurgici fanta-tecnologici.
Perché tutto ciò che passa per innovazione non è detto che lo sia.
“Innovazione in medicina è solo ciò che cambia la storia naturale della malattia” – professor Giorgio Vittorio Scagliotti direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Università degli Studi di Torino