Le Scienze della Vita comprendono le biotecnologie, la farmaceutica e le tecnologie biomediche e rappresentano un settore strategico per il Paese (così come lo sono per il mondo intero), non solo perché da anni sono al centro di un interessante fenomeno di sviluppo di business, ma soprattutto perché si occupano di una tematica di elevato valore sia etico che scientifico-tecnologico: prolungare la vita delle persone.

Il progetto Technology Forum Life Sciences è realizzato da Ambrosetti Club in collaborazione con Assobiotec (Associazione Nazionale per lo Sviluppo delle Biotecnologie), presente con il suo Presidente Riccardo Palmisano (CEO di MolMed), Alisei cluster nazionale Scienze della Vita ed alcune aziende impegnate nel settore.

Negli ultimi mesi i progressi nel settore delle biotecnologie sono stati numerosi ed importanti. Noi di WELLNESS4GOOD abbiamo raccontato storie entusiasmanti, come quelle degli accordi chiusi in breve tempo da Genenta Science, spin-off del San Raffaele. Il primo alla fine di Marzo con MolMed per lo sviluppo di una terapia genica per il trattamento del mieloma multiplo. Il secondo, più recente, con il colosso americano del biotech Amgen, per la messa a punto di un sistema per istruire le cellule a combattere il tumore. Il caso di Genenta è un’esperienza significativa di creazione di valore.

Anche a livello nazionale le iniziative sono state numerose e importanti.

Il Professor Pier Giuseppe Pelicci, membro del suo Scientific Committee, parla dell’approvazione del progetto Human Technopole (HT). Ci racconta come sia stata supportata da sforzi economici straordinari per un Paese come l’Italia, storicamente abituato a destinare ben altre cifre alla ricerca.

Pelicci sottolinea il focus dell’attività di HT, centro di eccellenza della ricerca che prenderà vita nell’area ex-Expo: la salute e le patologie legate all’invecchiamento, cancro e patologie neurodegenerative, che hanno un meccanismo patogenetico per molti aspetti comune. La sua caratteristica distintiva rispetto ad altri progetti simili sarà l’interdisciplinarità. Genomica, food e nutrition, big data (gestiti da complessi database coordinati dalle Università milanesi) e scienze sociali saranno di supporto alla realizzazione di lavori di ricerca ispirati alla Medicina di Precisione, che proprio nell’ambito oncologico esprime il suo potenziale maggiore.

L’approvazione del Piano Nazionale della Ricerca 2015-20, presentato dal Ministro Giannini a Maggio 2016, ha destinato 2,5 miliardi di euro alla ricerca. All’interno del piano, che punta a valorizzarla come strumento per la competitività e lo sviluppo del Paese, le scienze della vita sono state indicate come ad alta priorità.

La candidatura di Milano come sede dell’Agenzia dell’Unione Europea per la valutazione dei Medicinali (EMA), ha in maniera molto logica seguito i risultati del referendum britannico che ha sancito la Brexit e raccolto il sostegno del Governo.

Tuttavia, perché questo settore prosegua nel suo virtuoso processo di crescita e diventi competitivo, è necessario lavorare su alcuni punti, delineati dall’Advisory Board.

Uno di questi è l’introduzione di una visione strategica, che pianifichi e direzioni in maniera efficace, efficiente ed a lungo termine l’azione delle risorse impiegate.

La strategy non è di competenza del Piano Nazionale della Ricerca. Serve un organismo che se ne occupi in maniera più dedicata e dettagliata, un’Agenzia Nazionale della Ricerca, che supporti il Governo con attività di consulenze nelle questioni di innovazione e ricerca. Il fatto che questa attività sia attualmente frammentata all’interno di quattro ministeri, ne rende macchinosa la gestione.

In un Paese, come il nostro, in cui si pubblica in maniera vivace (l’Italia è ottava nel mondo per numero di pubblicazioni scientifiche), ma si brevetta con molta più difficoltà, è cruciale il trasferimento tecnologico, ossia la valorizzazione, la disseminazione e lo sfruttamento del know-how e dei risultati della ricerca.

Perché il technology transfer possa realizzarsi è necessario mantenere all’interno del Paese le competenze: a questo riguardo sono ben accolte tutte le misure attuabili per favorire il rientro dei cosiddetti “cervelli in fuga”. Se è vero che gli scienziati si muovono ed è positivo che ci sia un flusso di studiosi da un paese all’altro, è anche vero che il flusso debba essere multi direzionale. In Italia, più che un “brain flow”, le circostanze depongono per “brain drain”: il numero dei ricercatori che scelgono di andarsene continua ad essere di molto superiore rispetto a quello di chi entra.

Il settore biotech è caratterizzato dall’esigenza di ingenti capitali: le ricerche sono intrinsecamente costose e si estendono in maniera significativa nel tempo. Per questo è indispensabile aumentare la capacità del sistema di attrarre investimenti.

In questo momento gli investitori sono frenati soprattutto dal fattore tempo. Già incisivo per ragioni intrinseche al sistema, viene amplificato dal fatto che, in Italia, il tempo necessario per avviare uno studio clinico è doppio rispetto alla media europea. Inoltre il numero elevato di comitati etici e la mancanza di responsabilità e ruoli accertati al loro interno, contribuisce ad acuire il fenomeno.

A causa dei tempi, ancora, come sottolinea il Presidente di Assobiotec, il Venture Capital non è sufficiente. Sono necessarie specifiche piattaforme di finanziamento, che lavorano nel lungo periodo. Centralità della strategy e territorialità dell’execution aumenterebbero inoltre l’efficienza degli investimenti.

Perché investire in biotech?

Perché la domanda è alta, sia sul mercato interno che globale.

Perché crea valore: il fatturato complessivo del settore biotech italiano per il 2015 è pari a 9,4 miliardi di euro (contro i 7,7 del 2014).

Perché quasi 10.000 persone lavorano nell’ambito delle Scienze della Vita.

Perché il 75% delle aziende che operano nel settore sono piccole o medie, spesso spin-off delle Università: servono misure adatte per creare le condizioni necessarie alla loro crescita, perché possano diventare competitive.

Douglas Williams, Presidente e CEO della statunitense del biotech Codiac Biosciences, presenta il caso straordinario delle aziende biotecnologiche dell’area di Cambridge (Massachussets). L’addensamento è favorito da fattori quali la presenza di grandi e blasonati centri universitari (Harvard e MIT), ma anche da politiche di incentivazione, che sono state lungimiranti. Il numero delle persone impiegate nel biotech in questa area è pari a 63.000, tutte con stipendi medio-alti, che pertanto contribuiscono fiscalmente in maniera importante. Tuttavia il fenomeno non si è realizzato nel giro di qualche mese. Quarant’anni fa è iniziato un percorso complesso ed articolato, in cui le istituzioni hanno mostrato di credere. Sono state ripagate. La creazione di valore giustifica grandi investimenti anche da parte dello Stato.

L’innovazione porta immediatamente beneficio alla popolazione e la ricerca clinica è l’elemento essenziale perché questo si verifichi. Ma spesso i cittadini hanno un’opinione diversa in proposito: il paziente è visto come una cavia, più che un reale beneficiario di terapie moderne ed efficaci.

E qui, a mio avviso, entra in gioco un altro attore, la comunicazione scientifica, che deve impegnarsi a trasmettere un messaggio chiaro e comprensibile, ad avvicinare la popolazione alla scienza, a rispondere alle domande più urgenti, agli interrogativi più spinosi, evitando di cadere nelle trappole del pregiudizio.

 

La luce della scienza cerco e ‘l beneficio

Leonardo Da Vinci