La dipendenza da sostanze d’abuso è una malattia con pesanti risvolti sociali. In Islanda un programma contro la droga ha salvato migliaia di ragazzi.
La dipendenza da sostanze d’abuso rappresenta una vera e propria malattia, intimamente connessa alle condizioni sociali ed i fattori legati all’emotività delle persone che la sviluppano.
Droghe diverse producono effetti diversi? Ogni droga ha un bersaglio nell’organismo, la cui attivazione determina gli effetti immediati. Tuttavia il circuito della dipendenza è comune.
Le droghe intervengono su equilibri che regolano il nostro umore, sostituendosi al ruolo delle sostanze che il corpo produce e creando stati d’animo artificiali. Di più. Generano dipendenza, spingendo, allo scopo di ottenere il medesimo effetto, all’assunzione di dosi sempre maggiori: convincono il cervello che non può farne a meno, vanificando la volontà personale. Il perdurare dell’uso amplifica gli effetti collaterali, sia legati all’utilizzo stesso che all’astinenza, che compromettono in maniera progressiva le funzioni cerebrali, innescando un circolo vizioso destinato all’autodistruzione.
Nel cervello la cocaina si sostituisce alla dopamina, che influenza positivamente l’umore. L’eroina alle endorfine, responsabili della resistenza al dolore e della regolazione del sonno. Una dose di eroina dà la stessa sensazione di benessere (o quasi) di una seduta di allenamenti, senza avvertirne la fatica né soffrire dei postumi da accumulo di acido lattico. L’alcol, invece, mima la funzione del GABA, molecola che inibisce l’eccitazione neuronale. Praticamente ingerire discrete quantità di alcol genera lo stesso effetto di un ansiolitico.
Quali sono le nuove droghe? Negli Stati Uniti il fenomeno delle dipendenze è fra le emergenze nazionali principali, una vera e propria maledizione. La morte di Prince ha portato all’attenzione dei media il fenomeno della diffusione del fentanyl. Si tratta di un farmaco utilizzato in alcune forme di anestesia e per il trattamento del dolore cronico. Una medicina, quindi, ma usata dai tossicodipendenti come se fosse una droga d’abuso, al di fuori delle indicazioni terapeutiche e a dosi incontrollate. Il “successo” del suo business (che ha riportato in auge il cartello messicano) è legato ai costi esigui della sua produzione illegale e alla sua potenza (pari a circa 100 volte quella della morfina). Prodotto in Cina per pochi soldi, viene venduto nei Paesi occidentali a prezzi molto vantaggiosi rispetto a cocaina ed eroina. Ne basta una quantità infinitesima. Questo è il motivo per cui è pericolosamente letale. Ne basta qualche microgrammo in più per causare la morte per overdose. E’ praticamente impossibile da gestire. In America il fentanyl inquadra perfettamente la piaga sociale della prescription addiction, ossia dello sviluppo di una dipendenza a partire da una medicina comunemente prescrivibile. Solitamente si tratta di antidolorifici oppioidi. In alcune città americane gli agenti di polizia girano per le strade attrezzati di kit per la rianimazione da overdose. Altre hanno dichiarato una vera e propria war on drugs, in seguito alla morte di gruppi nutriti di loro cittadini a causa della dipendenza.
In Europa il problema si mantiene stazionario: la situazione non ha ancora risentito dell’immissione nel mercato di questi nuovi stupefacenti. Ma il pericolo è in agguato. La sostanza più utilizzata è la cannabis, tanto che un europeo su quattro l’ha usata almeno una volta nella vita. La regione mediterranea del nostro continente predilige la cocaina, mentre il Nord Europa l’anfetamina e i suoi derivati sintetici (come ecstasy).
Cosa possiamo fare per prevenire lo sviluppo delle dipendenze? Interessante il caso islandese, su cui ha scritto l’Huffington post. Nel tentativo di combattere le forme di dipendenza dilaganti fra i giovani, nel 1991 in Islanda fu somministrato un questionario a tutti i ragazzi di età compresa fra i 15 ed i 16 anni. Le domande indagavano sulle loro abitudini, anche sul loro eventuale consumo di stupefacenti. Emerse che coloro che avevano un rapporto migliore con i genitori, che praticavano regolarmente attività sportiva, che frequentavano corsi di vario tipo, erano meno propensi a fare uso di droghe o ad essere dediti all’alcool.
Le conclusioni non erano difficili da immaginare. Ma il Governo islandese ha fatto qualcosa di ancora più scontato: ha preso questi punti così come li avete letti e li ha trasformati in linee-guida per la gestione di una questione dolorosa. Ha predisposto un piano di recupero che coinvolgeva attivamente le famiglie e la scuola con il quale disponeva:
- eliminazione delle pubblicità di sigarette e alcool
- divieto per i minori di 18 anni di acquisto di sigarette
- divieto per i minori di 20 di acquisto di alcool
- coprifuoco per i ragazzi compresi fra 10 e 16 anni: rientro alle 22,00 in inverno e a mezzanotte in estate
- introduzione massiccia di attività extrascolastiche, sia sportive ed artistiche, in maniera tale da assecondare le esigenze dei singoli. Il Governo ha anche stanziato fondi per l’aiuto sistematico dei ragazzi meno benestanti al fine di garantire la sostenibilità del progetto per le famiglie.
Il ragionamento celato dietro questo programma è semplice ma infallibile. Se le droghe si sostituiscono ai neurotrasmettitori e i ragazzi le cercano, dobbiamo intervenire riportando nella vita dei nostri giovani componenti in grado di generare queste sostanze in maniera naturale, in modo da scoraggiare la ricerca di supporti artificiali.
Le attività sportive e la possibilità di dedicarsi all’arte agiscono sul cervello dei ragazzi, garantendo loro il benessere che avrebbero altrimenti cercato nelle droghe. In 20 anni di applicazione del protocollo islandese la percentuale di ragazzi che abusano di alcol è passata dal 48 al 5%. I fumatori di sigarette dal 23 al 3%.
Perché gli altri Governi europei non applicano lo stesso schema? Secondo i Governi degli altri Paesi europei i costi di questo progetto sarebbero insostenibili e gli standard di disciplina (con particolare riferimento al coprifuoco) impossibili da realizzare. Noi aggiungiamo che la rinuncia dello Stato italiano al monopolio sul tabacco, chiesta da anni dalla comunità scientifica, anche per le ripercussioni positive che avrebbe sulla lotta ai tumori, appare oggi utopia. E che, conseguentemente, molte delle interessanti campagne sponsorizzate dal Governo sono pesantemente compromesse da un’ipocrisia di fondo. Il compromesso comporterebbe uno spreco di risorse: lo schema ha avuto successo proprio per la sua imprescindibilità, per la fermezza con la quale è stato applicato.
E’ impensabile immaginare di risolvere il problema delle dipendenze istituendo un coprifuoco e organizzando corsi per il tempo libero. Tuttavia il miglioramento della qualità della vita dei nostri ragazzi e l’introduzione/rafforzamento della disciplina non può che costituire un supporto negli anni in cui la fragilità connessa al processo di crescita li rende più vulnerabili.
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